Soltanto giovedì l’Italia capirà le intenzioni del M5s. Per alcuni politologi è questa qui una crisi di governo insolita: nel senso che se ne parla tanto, ma di fatto non c’è nulla di concreto. Il refrain in seno al Movimento è sempre lo stesso: votare la fiducia e mettersi in disparte o non votare? Che strada farà imboccare Giuseppe Conte al suo partito? Dopo quasi cinque ore di Consiglio nazionale del M5S, una decisione finale non c’è. La linea dominante pare sia l’uscita dall’Aula al momento di fiducia del dl Aiuti. Nulla però è sicuro, tant’è che come rivela “Repubblica” non si esclude un nuovo incontro fra il premier Draghi e il leader grillino Conte. La verità però è che i tempi stringono: l’ex presidente del consiglio deve decidere in fretta cosa da fare. Su di sé il fiato sul collo anche degli altri leader di partito: “Se i 5S non votano il decreto, allora fine, parola agli italiani. Si va alle urne”, le parole di Salvini. La capogruppo dem Simona Malpezzi, ha lanciato un appello ai 5S: “Sarebbe incomprensibile una crisi di governo”. Berlusconi ritiene che “anche senza 5S il governo potrà andare avanti”. La domanda delle domande è: come si è arrivati a tutto questo? E soprattutto è una crisi di cui dobbiamo preoccuparci seriamente?
Un’analisi particolarmente interessante arriva da “Il Foglio”: “La prima verità è che la fragilità della maggioranza draghiana non nasce solo dai capricci del Movimento 5 stelle ma anche dai capricci di tutte quelle forze politiche che alla fine di gennaio hanno scelto di chiudere la strada del Quirinale a Mario Draghi sottovalutando l’esito che quella scelta avrebbe avuto sulla vita del governo. Il risultato è ciò che abbiamo di fronte oggi ed è un risultato solo ritardato dalla guerra in Ucraina: i partiti che si sono opposti al passaggio di Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale (M5s e Lega) oggi sono gli stessi che tendono a indebolire il governo quando ne hanno occasione e le difficoltà incontrate alle urne da parte di quei partiti hanno contribuito a trasformare l’esecutivo nel terreno perfetto su cui scaricare le proprie frustrazioni”, ha spiegato Claudio Cerasa. Ma c’è una seconda verità: il M5s sembra aver capito che il suo spazio vitale è fuori dal governo. “Rocco Casalino, portavoce di Giuseppe Conte, incrociato lunedì sera in via Cavour, a Roma, in monopattino, da chi scrive, ci ha confermato che votare la fiducia giovedì, per il M5s, è una missione impossibile, a meno che Draghi non si inventi qualcosa tra mercoledì e giovedì, e quel qualcosa ha tutta l’aria di somigliare molto a una qualche concessione sul Superbonus o sul salario minimo”, svela Cerasa. C’è poi una terza verità: “Mario Draghi sta dicendo da giorni ai suoi collaboratori che non ha alcuna intenzione di fare la fine di Mario Monti, ovverosia accettare di arrivare alla fine naturale della legislatura dopo aver perso una gamba della maggioranza, e la sua intenzione di farsi da parte, in caso di uscita del M5s dal governo, è reale”.
Draghi sa che con una guerra in corso, una crisi economica alle porte, un’inflazione choc e gli obiettivi del Pnrr da raggiungere occorre avere un governo nel pieno delle sue funzioni. Avere le mani legate non avrebbe alcun senso. Per questo in conferenza stampa il premier ha usato con attenzione le parole: “Il governo con gli ultimatum non lavora. Non c’è esecutivo con me senza M5S”. Ma “come spesso succede quando i parlamenti sono deboli e quando i partiti non sono forti alla fine dei conti il metronomo della stabilità che conta è quello che si trova al Quirinale e se Sergio Mattarella dovesse chiedere a Draghi (e al Pd, e alla Lega, e a Forza Italia) uno sforzo per andare avanti almeno fino all’inizio del prossimo anno quello sforzo verrebbe fatto”, rimarca sempre il direttore de “Il Foglio”. Ci sarebbe poi un’altra cosa da considerare: nel caso di uscita del M5s che posizione assumerà il Pd? Alle elezioni si presenteranno da soli i Dem? Che poi visto il clima incerto che regna nel partito pentastellato forse meglio perderlo un alleato così.