Le scene che abbiamo visto in tv con la rincorsa dei russi ai bancomat per prelevare contanti nel timore di un default dell’economia, non sono così lontane. L’aumento di prelievi e della domanda di contante in molti Paesi europei, i più vicini alla guerra in Ucraina, è il segnale che cresce la paura della popolazione verso il regime di Putin.
“Potremmo cominciare a parlare di un’economia di guerra se oltre alla dimensione virtuale, bancaria, finanziaria, fossimo chiamati a confrontarci con una guerra cibernetica,” ha detto Giuseppe De Rita, presidente del Censis, in una intervista a Repubblica. “Immaginate se all’improvviso non ci funzionasse più il telefonico o il computer. Per come è strutturata la nostra società, quella mancanza ci darebbe la percezione della guerra” ed ora “viviamo una guerra immateriale, anche se ci accorgiamo che la benzina è aumentata come la bolletta. La guerra la sentiremo davvero quando dall’immateriale si passerà al materiale e cominceremo a percepire i disagi fisici”.
Proviamo allora a riavvolgere il nastro, perché la guerra cibernetica a cui allude de Rita ha conseguenze dirette sulla vita quotidiana dei Paesi dell’Europa orientale e sul “blocco del Nord” Europa. In Russia, oltre alla corsa ai prelievi, nei giorni scorsi le prime 3 grandi compagnie internazionali delle carte di credito hanno interrotto i loro servizi. Il problema per i russi è stata anche la “dollarizzazione” della crisi valutaria: le persone sono in cerca di valuta pregiata temendo la pesante svalutazione del rublo.
In Ucraina la prima ondata di attacchi russi è stata all’insegna della guerra ibrida, incursioni hacker che hanno mandato in tilt le infrastrutture bancarie con i rispettivi sistemi di pagamento elettronico. Pos fuorigioco e rotelline delle app bancarie che giravano a vuoto. Anche nel Donbas tante le persone in coda ai bancomat, nonostante l’arrivo dei presunti “liberatori russi”.
I dati forniti da ESTA mostrano che la domanda di contante e il numero di prelievi ai bancomat sono notevolmente cresciuti nei Paesi europei più vicini allo scenario bellico ucraino. In Europa Orientale, nei Paesi Baltici, nel blocco del Nord ma anche in Europa centro-orientale la richiesta di cash dall’inizio della guerra è aumentata costantemente e a due cifre in termini percentuali.
Per Paesi come la Lettonia e la Lituania, per le nazioni confinanti con l’Ucraina, questo fenomeno deriva certamente dalla paura di essere le prossime vittime nella lista di Putin, o comunque di trovarsi troppo vicini all’epicentro della crisi geopolitica per non subirne pesanti ricadute economiche. Fa riflettere invece il caso della Svezia. Era il Paese dove solo fino a qualche anno fa il Governo puntava a introdurre una “società cashless”, cioè ad abolire totalmente il denaro contante. Ora però un numero crescente di svedesi cerca di prelevare, per precauzione, certo, ma anche perché stanno venendo al pettine tutte le rischiose conseguenze delle politiche di digitalizzazione della moneta spinte dal governo svedese.
In Italia, Assovalori, l’associazione italiana del trasporto valori, aveva già lanciato l’allarme nei giorni scorsi, in una intervista rilasciata dal presidente Staino alla stampa online. “In momenti drammatici come quelli che stiamo vivendo occorre garantire la circolazione del contante per tutti i cittadini che ne hanno necessità. Quando la paura dilaga, le persone si rifugiano nel denaro contante, che resta l’unico mezzo di pagamento disponibile e sicuro, nonostante la continua campagna di demonizzazione del contante che va avanti da anni in molti Paesi europei,” dice Staino.
Ma c’è un problema. “La liquidità è un’attività economica generata dal volume ed è necessario assicurare una massa critica di contante per assicurare che essa sia sostenibile, efficiente e disponibile per tutti”, scrive ESTA nel suo ultimo comunicato. Occorre dunque preservarla la liquidità per garantirne la circolazione, “perché nessuno può prevedere quando tutto il resto potrebbe fallire”.