“L’attacco di Paramonov a Guerini? Forse è un modo per cercare ‘quinte colonne’, per dividere la maggioranza Draghi”, è il sospetto molto credibile di Osvaldo Napoli, ex Forza Italia oggi passato con Azione.
In effetti nella maggioranza, dai massimi vertici di Lega e M5S, ogni giorno brillano troppi ma e tanti però. I “distinguo” sembrano essere lo sport preferito di tanti se non di troppi. E sembra in qualche modo rinascere quell’alleanza giallo-verde all’insegna del populismo e, in qualche modo, dal puntinismo. Da una parte Matteo Salvini che sull’invio di armi di difesa all’Ucraina ha ricominciato a fare le bizze: “Sono in difficoltà sul voto”, e dall’altra Giuseppe Conte che sull’aumento delle spese militari appena varato a Montecitorio ha sparato a zero: “È un messaggio sbagliato”, mettendo persino in discussione la difesa comune europea all’insegna del leguleio “bisogna capire bene”.
È così i senatori grillini si preparano a votare all’opposto rispetto a quanto fatto dai colleghi onorevoli alla Camera: se sarà presentato un altro ordine del giorno per portare le spese militari al 2% del Pil, spiega Gianluca Ferrara, capogruppo M5S nella commissione Esteri al Senato, “sarebbe inopportuno votare sì”. Nella Lega le consistenti truppe filo-Putin rimangono in accorto silenzio dopo gli anni passati a tessere lodi sperticate del capo del Cremlino. Ma malumori sono evidenti: giovedì il 40% dei deputati non si è presentato al voto sul decreto Ucraina. E ieri uno dei pochi commenti di solidarietà a Guerini pronunciati da esponenti del Carroccio, cioè da Paolo Grimoldi, presidente della delegazione italiana dell’Osce, conteneva un passaggio non marginale: il ministro della Difesa, dice Grimoldi, “fa bene il suo ruolo”, ma “se l’Italia attraverso esponenti del suo governo definisce Putin con aggettivi diffamatori, diventa difficile farlo sedere al tavolo” della pace. Della serie, contro Putin ma con moderazione. Non si sa mai.