Lucido come sempre, Mattia Feltri su La Stampa, in poche righe riesce a descrivere l’essenza di questi ultimi anni di politica, con il suo progressivo degrado verso rischi di autentica involuzione che trova manifestazione nel sempre maggior peso che assumono le forze sovraniste e populiste europee di elezione in elezione.
Analizzando il voto francese e la saga familiare da Jean Marie Le Pen alla figlia Marine, che per la settima volta complessivamente (quasi dinasticamente) contenderanno l’Eliseo al ballottagio ai candidati “moderati”, egli centra il punto quando afferma che non è più sufficiente, in Francia come in Italia, limitarsi a descrivere i nazionalisti-sovranisti-populisti come mostri da abbattere. Anzi, vista la crescita di questi ultimi unitamente all’estrema sinistra populista, e considerato che in Italia Lega-Fratelli d’Italia-Movimento 5 Stelle si attesta attorno al 50%, la demonizzazione di queste forze si rivela estremamente controproducente.
E’ un dato di fatto, come sostiene Feltri, che la globalizzazione che doveva condurre alla “fine della storia” per usare una celebre formula di Francis Fukuyama, ha portato, al contrario, con sé tutta una serie di conseguenze non previste o, se previste, non debitamente affrontate: dal progressivo impoverimento delle classi medie, all’immigrazione incontrollata dovuta alla moltiplicazione delle aree di povertà nel mondo, a una forbice salariale insostenibile con tutto il suo portato di precarietà esistenziale per finire con l’aumentare esponenziale delle aree di guerra sparse per il globo. Di fronte a tutta questa instabilità e insicurezza, innanzi alla modernità con le sue nuove sfide, ci saremmo aspettati una politica forte, in grado di rassicurare e governare il cambiamento, ma, oggi, dobbiamo onestamente registrare il fallimento delle aspettative e farci i conti.
Infatti, come ha reagito la politica di fronte alla complessità del mondo moderno e al soverchiante carico emotivo che ha investito i cittadini? In modo, potremmo dire, polare. Da una parte, appunto sdoganando l’inconfessabile, portando alla luce paure e rabbie che sono state abilmente prima suscitate e poi incanalate dai partiti estremisti che, di volta in volta, cavalcando la singola presunta emergenza, ha individuato nemici interni ed esterni rendendoli capri espiatori del disagio sociale, e poi ne ha tratto vantaggio elettorale (o sondaggistico). Salvo poi, dimostrare – come in Italia nel 2018 – tutta la loro incapacità. Dall’altra, eppure diversa faccia della stessa medaglia, attraverso l’emersione di sempre nuovi “professorini” della politica che da quelle paure hanno preso schizzinosamente le distanze, degradandole a inutili fastidi del vil volgo, chiudendosi e arroccandosi nell’aventiniana convinzione di essere i migliori, rigorosamente dalla parte giusta della storia, che può essere governata solo attraverso la “techne”. In altre, parole, rinunciando a fare politica.
Cosa hanno in comune questi approcci? Agevole dirlo: nessuno dei due in grado di offrire soluzioni a quelle istanze. Si preferisce, a seconda dei casi o cavalcarle o snobbarle, pur di non darvi risposta nella illusoria convinzione che esse possano scomparire. E invece, non scompare proprio niente, e a ogni elezione in ogni paese europeo ricompare, puntuale, l’estremismo come fonte di seduzione illiberale, ogni volta più forte che – per dirla con Feltri – segnala la marcia di allontanamento dall’impossibile (vittoria) verso il possibile (trionfo).
Ecco perché per invertire la marcia e anestetizzare le paure di una deriva antistorica, illiberale e pericolosa, è necessario recuperare una politica popolare e non populista, patriottica ma non nazionalista . Le vecchie categorie della liberaldemocrazia non possono più bastare. Occorre uno scatto in avanti di buona politica. E questo scatto può essere compiuto solo a destra, perché è il campo di battaglia ad essa più connaturato. La costruzione del futuro attraverso una declinazione del presente che sia innovativa, pragmatica e realistica, incarnata da una forza politica di Buona Destra, che sappia guidare il popolo (e non di seguirlo), ma la tempo stesso, che sia capace di interpretarne anche le pulsioni più profonde per evitare che esse finiscano nell’abbraccio mortale del sovranismo nazionalista.
Bisogna tornare a essere San Giorgio che affronta a viso aperto il drago, invece di sedurlo o, peggio anocra!, di scappare in un tragicomico senso di superiorità. Sconfiggere il mostro oggi significa dare risposte anche a quelle istanze che, per quanto “brutte e cattive”, rivendicano legittimamente cittadinanza politica e, auspicabilmente, soluzioni.
La posta in gioco è alta. Come dimostrano le elezioni francesi, la destra o è “buona” o non è.