Ogni giorno lo spettacolo si ripete come il precedente. Il domatore schiocca la frusta e i felini ruggiscono. Stavolta però, come scrive Carmelo Caruso su «Il Foglio» le fiere “minacciano di uscire perché non possono più entrare”. Stiamo parlando di Salvini, ribattezzato dai più lo smemorato putiniano, e Conte, che non vuole aumentare le spese militari. “Vogliono sfasciare il governo perché sono gli sfasciati di governo. Li chiamano il ‘dandy’ e lo ‘spaesato'”, insiste Caruso. Conte, che si vanta delle telefonate con Putin (‘Duravano un’ora e mezza’, dice), sembra voglia sul serio mettere con le spalle al muro Mario Draghi, riproponendo uno schema squisitamente salviniano: “Dobbiamo proteggere le famiglie”. Da qui l’avvertimento all’ex numero uno della Bce (che starà tremando dalla paura proprio): il leader del M5s è pronto ad affossare il decreto Ucraina, la prossima settimana, quando arriverà in Senato.
«L’aumento delle spese militari non è una priorità il voto del M5s sarebbe contrario. L’urgenza in questo momento riguarda famiglie e imprese, da proteggere dalla crisi», le parole di Conte. E davanti all’ipotesi di una possibile caduta del governo, il leader pentastellato ha fatto spallucce: «Ognuno farà le sue scelte». L’ha ripetuto l’ex premier anche ieri intervenendo al congresso dell’Anpi: «Non saremmo all’altezza della nostra Costituzione se, invece di intervenire con investimenti urgenti sulle emergenze per aiutare imprese e famiglie in difficoltà, noi scegliessimo la strada di interventi massicci in spese militari. Questa per noi è una scelta inaccettabile». La carta della famiglia, insomma. La sensazione, invece, sembra un’altra. E cioè che Conte, dopo aver detto “sì” all’aumento delle spese militari nel primo voto della Camera, sia stato spinto a cambiare atteggiamento, dalla pancia del Movimento. “Se non tutto, almeno in parte scivolato sulle posizioni antimilitariste del presidente della Commissione Esteri del Senato Petrocelli, deciso a ‘non dare più la fiducia al governo’, e per questo minacciato di espulsione dallo stesso Conte”, come ha osservato Marcello Sorgi su «La Stampa».
Ed è davvero un salto nel cerchio di fuoco per Conte, che si trova ora in una posizione decisamente scomoda: se ribalta al Senato il voto dato alla Camera, apre la crisi e rischia di trascinare il Paese alle urne. Con un esito che non è difficile da immaginare: i 5 stelle con le ossa rotte. Se però Conte fa dietrofront si ritrova una rivolta in seno al Movimento, che tra l’altro dovrebbe rivotarlo leader dopo la sentenza che lo ha detronizzato. “Il braccio di ferro Conte-Draghi sull’aumento della spesa militari sarebbe da inquadrare in una vendetta dell’ex premier contro i draghiani”, scrive Pasquale Napolitano su «Il Giornale». Vendetta per cosa? Presto detto: “Conte sospetta la regia di Palazzo Chigi e della cerchia draghiana dietro le soffiate (precise e dettagliate al ‘Corriere della Sera’) sul caso della spedizione russa in Italia ai tempi del Covid. Una manovra per esporre Conte al linciaggio pubblico (accusato di essere filo Putin)”.
Lo smarcamento dell’ex premier grillino, proprio nel giorno della riunione della Nato a Bruxelles con il presidente Usa, Joe Biden, e dopo l’intervento del presidente ucraino Zelensky alla Camera, fa riemergere tutti i sospetti sull’evoluzione atlantista dei Cinque Stelle. E nasconderebbe anche il tentativo di Conte di delegittimare Draghi nel bel mezzo del conflitto provocato da Putin. In sostanza, una svolta pacifista parecchio discutibile. L’ha toccata pianissimo il presidente di Iv Ettore Rosato, che commentando il grafico del «Corriere della Sera» sulle spese militari affrontate in questi anni dal governo, ha scritto: “Bello. Con Renzi le spese militari scendevano, con Conte salivano. Però da buon populista demagogo adesso Conte minaccia di far cadere il governo se si mantengono gli impegni della Nato”. Cosa altro aggiungere?