Esiste una destra non populista che rimane fedele alla democrazia liberale e parlamentare. È possibile conciliare rappresentanza e decisione. Più ampia è la rappresentanza di istanze diverse, più si tiene lontano il populismo.
È per questo che come Buona Destra, al fianco di Filippo Rossi, siamo pronti a promuovere da subito un tavolo per il ‘Comitato del No’ contro le riforme istituzionali proposte dal governo.
Speriamo di raccogliere attorno a questo tavolo quel fronte repubblicano, tanto auspicato, che difenda i princìpi e equilibri della nostra Costituzione e si opponga a una riforma tanto populista quanto pericolosa come quella del cosiddetto “premierato forte”.
Una riforma che, come ha affermato il segretario di Più Europa Riccardo Magi, rappresenterebbe “la tomba della democrazia”, e che, aggiungiamo noi, è antipatriottica perché non unisce, ma divide.
Quando si parla di modificare la Costituzione, per una destra laica e repubblicana, non è possibile ignorare una riflessione sul sentimento patriottico. Un’idea di patria che, come descrive Vittorio Emanuele Parsi nel suo ultimo libro “Madre Patria”, sia gentile e aperta al mondo, capace di unire attraverso i suoi valori e le sue tradizioni, protetta dalle istituzioni democratiche. Una patria non impaurita né nostalgica, ma forte e consapevole, in cui ciascuno si riconosca e a cui senta di appartenere per potersi confrontare con gli altri e con il futuro senza timori.
L’esatto opposto del progetto di riforma di Meloni, dove il sentimento nazionale è utilizzato in modo contrario al suo significato originario: non per unire, ma per dividere.
È il momento, invece, di “stringersi a coorte” nella difesa della Carta Costituzionale perché, come è noto, per approvare il testo alle Camere servirebbero due terzi di sì: non basterà, fortunatamente, nemmeno l’appoggio di Renzi ed è necessario mobilitare, anche da destra, quel fronte repubblicano in vista del referendum confermativo, che ricordiamo non prevede quorum.
La riforma proposta dalla destra sovranista e populista rappresenterebbe non solo un pasticcio istituzionale con una formula “unica al mondo”, ma non risolverebbe alcun problema di stabilità e governabilità, umiliando nel contempo i due simboli dell’unità nazionale: il Presidente della Repubblica, che verrebbe ridotto a una figura quasi notarile, e il Parlamento, che verrebbe completamente svuotato del suo significato.
La tempesta perfetta si compirebbe poi con il progetto Calderoli di statalizzazione delle regioni, a cui verrebbero attribuiti competenze e risorse senza una governance di quadro nazionale più ampia e perequativa.
La “fretta” con cui Meloni e i suoi alleati hanno presentato la bozza di stravolgimento istituzionale con cui dicono pomposamente di voler far nascere la “Terza Repubblica”, ha tre chiare motivazioni.
La prima, contingente, riguarda la necessità di distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica dalla legge di bilancio, in realtà “pericolosa e completamente sbagliata”, per dirla con Carlo Calenda.
La seconda è il solito, piccolo calcolo elettorale per avere una bandierina identitaria/ideologica da sventolare alle prossime consultazioni europee.
La terza motivazione è di natura “strutturale” e consiste nel tentativo di cristallizzare, attraverso un modello costituzionale creato ad hoc, quell’anomalia tutta italiana, che costringe i liberali, i popolari e i riformisti ad allearsi con l’estrema destra populista e sovranista.
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Questo è il contrario di ciò che accade nel resto d’Europa e nel mondo occidentale, dove non esiste nulla di simile al sistema di governo proposto da Meloni.
Il tentativo maldestro di cambiare la Costituzione ha l’unico scopo di istituzionalizzare lo “status quo”, cercando di soffocare la dialettica interna a coalizioni dirigiste e garantire un futuro di governo all’estrema destra populista che, nella sciagurata ipotesi di successo dell’attuale proposta istituzionale, potrebbe immaginare di governare, come avviene oggi, pur essendo in minoranza nel paese.
La conferma più evidente di tutto ciò è la scelta (obbligata e obbligatoria) di Meloni di proporre un’elezione diretta del premier con turno unico. Il doppio turno, infatti, riserverebbe per lei e per il suo partito un futuro ricco di sconfitte, come storicamente avviene in Francia per Le Pen e la sua famiglia.
Per questi motivi è vitale avviare una campagna per proteggere la democrazia repubblicana e per il “No” alla Costituzione sovranista. Una volta che il via libera all’elezione diretta del capo del governo verrà concesso in Parlamento, ma senza i due terzi dei voti, sarà necessario che gli italiani tutti, sia di destra che di sinistra, si mobilitino per impedire una deriva populista degli assetti costituzionali, che fino ad oggi hanno sostenuto la nazione.
Noi di Buona Destra lanciamo un appello agli amici di Azione, di Più Europa e in generale a tutto il “fronte repubblicano”, perché si costituisca, senza indugi e per amor di patria (come sottolineiamo noi), il Comitato per il “No” alla riforma istituzionale proposta.