“Pensano che tenere lì il comandante del Reggimento Denys Prokopenko impedirà all’Azov di riunirsi senza di lui. Ma non è così. Tornerò presto sul campo di battaglia. Lo devo alla mia patria”. “Taurus”, al secolo Bohdan Krotevyc, è tornato a Kiev. E’ tornato dopo quattro mesi di prigionia passati in una angusta micro cella, in isolamento dentro un campo di detenzione russo.
Ventinove anni, Taurus è il vice comandante del Battaglione Azov, catturato all’Azovstal di Mariupol insieme ai suoi commilitoni il 20 maggio scorso, quando dopo settimane di strenua ed eroica resistenza a difesa della città distrutta dai russi il governo ucraino ordinò la resa per salvare le loro vite. Qualche settimana fa è arrivata, a sorpresa, la liberazione degli Azov in uno scambio di prigionieri coi russi, ma lui è l’unico dei dirigenti apicali del reparto scelto dell’esercito ucraino ad essere tornato a Kiev. Gli altri sono ancora “in esilio” a Istanbul.
Krotevyc ha vissuto quattro mesi in una micro cella, nutrito a pane e acqua, senza poter parlare con anima viva, con una luce puntata addosso h24. Un uomo normale rischia di impazzire, anche se è un soldato scelto, anche se è stato dentro l’inferno dell’Azovstal. Da dove, per intenderci, avrebbe preferito uscire morto, lui che si era fatto persino fotografare dentro l’acciaieria con la sigaretta in bocca, spavaldo, mentre la pioggia di bombe russe scuoteva le lamiere. “Fosse stato per me, non mi sarei consegnato” dice, con voce calma, oggi che è stanco, fiaccato nel fisico e nell’animo dalla prigionia. Ma mai domo.
“Non ci siamo arresi, abbiamo accettato di uscire dall’Azovstal, con le armi smontate tenute dietro la schiena – racconta -. Eravamo sotto tiro dei cecchini, avevamo avuto garanzie da terze parti che ci avrebbero scambiato con altri prigionieri entro due settimane. Non hanno rispettato i patti. Il comando del Reggimento Azov è stato portato nella colonia penale di Olenivka vicino a Donetsk, e dopo tre giorni ci hanno trasferito a Mosca”. Tuttavia dell’inferno in mano ai russi non vuole parlare. Per salvaguardare i suoi compagni che sono ancora tra le grinfie del Cremlino. “2500 difensori di Mariupol sono ancora in mano russa, di cui 700 uomini dell’Azov… Posso solo dire che le condizioni erano pessime – afferma in un’intervista a Repubblica -. Quando in un attacco è esplosa la prigione dove erano rinchiusi i nostri a Olenivka sono rimasti uccidi quarantuno soldati”.
“Dopo i tre giorni a Olenivka mi hanno legato i polsi, e, incappucciato, mi hanno messo su un aereo – ricorda Taurus -. La prigione era quella di Lefortovo, credo. Ci hanno messo in isolamento. Luce h24, la finestra sigillata. Appesa al soffitto c’era una telecamera che mi riprendeva sempre. Roba che ti spappola il cervello. Sembrava di vivere un unico giorno ma infinito. Mi hanno interrogato due volte, mi hanno chiesto cose strane, tipo ‘Stepan Bandera è un eroe?’, ‘cos’è per te l’Ucraina?’. Ho risposto che sono nato nell’Ucraina indipendente nel 1993 e non avevo mai pensato di fare il soldato, ma nel 2014 la Russia ci ha attaccato e io sono andato a combattere. Difendere il proprio Paese è un dovere. Dopo il secondo interrogatorio, la porta della cella si è chiusa alle mie spalle e non si è più riaperta per i successivi centoventi giorni. Non avevo l’ora d’aria né la possibilità di vedere il cielo. Solo quel soffitto bianco, illuminato, maledetto”.
Gli Azov di cui Taurus è parte sono statai a lungo oggetto della propaganda russa per giustificare l’invasione. “Quando eravamo a Olenivka, gli agenti dell’Fsb e gli altri che ci interrogavano sono rimasti sorpresi perché non trovavano tatuaggi di svastiche su di noi, erano arrabbiati – racconta ancora -. Ho capito una cosa molto importante: persino i servizi speciali russi sono imbevuti della loro stessa propaganda, credono alle televisioni. I militari dovrebbero pensare con sobrietà. Cito una domanda che mi è stata posta: ‘Tu consideri l’Upa (l’esercito nazionalista di Bandera nato nel 1942, ndr) degli eroi. Mia nonna, che viveva nell’Ovest dell’Ucraina, mi ha detto che i tedeschi erano bravi, ma quelli dell’Upa no’. I tedeschi erano i nazisti. La mia politica è solo la politica dello Stato ucraino. Che ora è antirussa, e la sostengo pienamente”.
Taurus è quello che proverbialmente si definisce “un duro”. Uno capace di sopportare quattro mesi in una prigione russa. Ma in questi mesi ha vissuto dei momenti terribili. “Quando eravamo dentro l’Azovstal hanno ammazzato il mio migliore amico, il tenente Andrii Kharkov, 28 anni – ricorda -. La polizia antisommossa russa gli ha sparato al collo mentre copriva una postazione a cui ero assegnato io. All’ultimo Andrii mi aveva sostituito. Stavamo affrontando 20 mila soldati russi, però se avessimo avuto le medicine per curare i feriti o se li avessero lasciati andare in ospedale, saremmo potuti durare ancora due mesi”.
Alla fine sono arrivati lo scambio di prigionieri, la libertà e il ritorno. “E’ avvenuto tutto di notte, all’improvviso: le guardie sono entrate, mi hanno ammanettato e mi hanno messo un sacchetto in testa – conclude -. Mi hanno portato all’aeroporto e sull’aereo ho sentito i nomi di nostri giovani ufficiali. Pensavo che fossimo gli ultimi prigionieri da liberare. Siamo passati dalla Bielorussia, ho sbirciato la targa di una macchina. Quando mi hanno tolto il sacchetto, ho visto i volti dei miei amici”.