Uno degli esiti più catastrofici di questa situazione da tragicommedia all’italiana è il gioco di sponda, voluta o meno, che il Movimento Cinque Stelle ha innescato con la Lega di Matteo Salvini. Perché, a parte la balcanizzazione del partito di Conte con tanto di minaccia di sputi e manganellate (si spera solo metaforiche), il punto essenziale è: cosa farà la Lega? Se a parole si dice pronta al voto anticipato, la realtà è molto più complessa e articolata.
Salvini sa bene che al voto prenderà una batosta micidiale e che cederà parte del proprio consenso elettorale a Fratelli d’Italia che, infatti, gongola e, tanto coerentemente quanto irresponsabilmente, chiede a gran cassa le elezioni anticipate. D’altra parte, una discreta fronda all’interno della Lega è contraria alla caduta di Draghi e ciò si potrebbe manifestare apertamente se anche i presidenti di Regione (fra cui tanti leghisti) dovessero appoggiare la lettera aperta dei sindaci premier affinchè rimanga tale, cui peraltro stanno aderendo tanti cittadini comuni mediante manifestazioni che oggi si terranno in varie parti d’Italia.
Per inciso, Buona Destra ci sarà e farà sentire la propria voce nell’odierna occasione, perché è il momento della responsabilità controllo il velleitarismo politico che vuole precipitare il paese verso elezioni anticipate. Atteggiamento irresponsabile e – come sottolinea Filippo Rossi – vampiresco, cui diciamo un forte e chiaro NO.
Tornando alla Lega, si profila l’ennesimo Vietnam dagli esiti tutt’altro che scontati. Salvini lo sa e infatti, si guarda bene da prendere una posizione netta e chiara. Sebbene ieri in una nota congiunta con Berlusconi, ha detto “mai più con il Movimento 5 Stelle perché totalmente inaffidabile”, il leader del Carroccio gioca sull’ambiguità politico-lessicale, poiché al momento nessuno sa ciò che cosa diverrà realmente il Movimento da qui a mercoledì.
Se sputi e mazzate si dovessero trasformare in una ulteriore spaccatura, dopo l’uscita di Di Maio, l’ala pasdaran e anti-governativa di Taverna e soci potrebbe essere ulteriormente polverizzata liberando “energie draghiane” verso nuove convergenze. Chissà!
In ogni caso, dire “mai con il M5S”, potrebbe voler dire implicitamente “sì a quelli che ne usciranno per sostenere Draghi”. La strategia è figlia del solito opportunismo di Salvini che si tiene aperte più strade per poi scegliere quella più conveniente.
Ma stavolta il rischio è che Salvini si incarti per davvero, come spesso gli accade da quando ha perso il tocco magico e rimanga incastrato nella sua stessa tela complicando un quadro già abbastanza surreale. Con buona pace del futuro del paese; e già pensare che questo futuro sia appeso alle decisioni di Salvini è roba da far accapponare la pelle.
Frattanto dall’estero ci guardano come marziani, non solo per la crisi in sé, ma anche perché il dopo Draghi – che comunque, nella migliore delle ipotesi, ci sarà tra qualche mese – andrebbe studiato e preparato in qualche modo. Occorre una linea di continuità che porti in fondo le riforme e faccia fronte agli impegni internazionali con gli alleati.
I sovranisti “de noantri” gridano già al commissariamento dell’Italia da parte dei soliti burocrati transnazionali. E invece no! Si tratta di normale e semplice preoccupazione per una situazione imprevista, che rischia di alterare in negativo la credibilità italiana nei consessi internazionali (UE e NATO, ad esempio) e sui mercati.
Siamo, dunque, proprio sicuri che dopo la caduta di Johnson e le difficoltà di Macron l’Occidente possa rinunciare anche a Mario Draghi, in un contesto in cui Putin si frega le mani delle difficoltà dei nostri leader? Francamente è tafazziano – o forse volutamente eterodiretto? – quanto sta accadendo e la speranza è che Mario Draghi ci ripensi che non solo faccia convergere attorno a sé una maggioranza parlamentare a partire da Mercoledì, ma che possa lavorare a un progetto di lunga durata che veda la sua persona e il suo programma al centro. Questo anche in vista della scadenza naturale della legislatura e delle elezioni del 2023.
Ma si torna al punto di partenza in questo grottesco gioco dell’oca. Che cosa farà il premier? Al momento sta a guardare, sornione, soddisfatto del moto di affetto e saggezza che si eleva dalle istituzioni comunali e dai cittadini attorno a sé, nell’attesa che tutto questo si trasformi anche in una ri-legittimazione parlamentare.
Resta, tuttavia, lo sconcerto di vedere il destino della nazione in mano al populismo grillino e leghista dai quali occorre liberarci quanto prima visti i danni che ha fatto in tutta la legislatura. E se Claudio Cerasa su il Foglio guarda il bicchiere mezzo pieno, sostenendo che questo Parlamento alla fine è riuscito ad arginare gli estremismi, sia consentito dissentire. Come al suo inizio la legislatura era appesa al filo delle intenzioni di Conte e Salvini che hanno impiegato mesi e mesi a formare un governo che poi è subito caracollato su se stesso (facendo però nel frattempo più di un danno), anche alla fine gli estremismi hanno condizionato e condizionano gli equilibri politici nazionali, rischiando di mettere a repentaglio i risultati che Draghi ha ottenuto in questi 17 mesi. Ma dal 2018 a oggi il mondo è completamente diverso e occorre dire con chiarezza che non possiamo più permetterci di essere ostaggio di questi due leader – meglio, follower – populisti.