di Nicola Bono
La Buona Destra deve con coraggio contrastare la logica di una società rassegnata all’appiattimento decadente e senza speranza e farsi, al contrario, promotrice di un modello sociale di naturale ritorno alla meritocrazia ad ogni livello, a partire dalla Scuola e dall’Università. Il punto quattro rilancia il ruolo della politica che, in quanto tale, deve tornare ad essere guida e ispirazione di valori e comportamenti positivi e fattivi, recuperando ovunque possibile, criteri di valutazione ispirati al merito e che sollecitino il desiderio di arricchimento culturale e professionale dei cittadini, chiamati ad una maggiore e più significativa partecipazione alla vita economica, sociale e civile, per concorrere a realizzare un futuro di progresso e di prosperità per l’intero Paese.
Un radicale cambiamento della società appiattita e ripiegata in se stessa, in una perenne depressione determinata dall’assenza di prospettive e di speranza, che continua a logorare il senso più profondo del comune sentire, sollecitando gli istinti peggiori del carrierismo fondato sulla raccomandazione e il clientelismo, e non sulla sfida di puntare alle reali capacità di ciascuno di raggiungere con lo studio e il sacrificio i propri obiettivi.
A dare il colpo mortale alla società del merito è stato il modo in cui in questi ultimi decenni sono state gestite in particolare la Scuola e l’Università che, da istituzioni deputate ad educare e istruire i cittadini, sono diventate, salvo alcune lodevoli eccezioni, diplomifici di natura assistenziale, dispensando titoli di studio senza cultura né merito, ed impoverendo intellettualmente ed economicamente i nostri giovani che, inevitabilmente, hanno progressivamente creduto sempre di meno alla funzione di queste istituzioni e, conseguentemente, in gran parte abbandonato le buone pratiche dello studio e del sacrificio, essendo evidente la loro inutilità ai fini del diritto al lavoro e al futuro, e contribuendo involontariamente all’ulteriore appiattimento generale della società, all’ignoranza diffusa e al complessivo abbassamento delle medie di competenza degli studenti italiani, rispetto ai loro colleghi dei Paesi più avanzati. Non solo è stato arrecato un danno enorme al “patrimonio umano” del Paese, ma in tal modo si è anche vanificato il famoso “ascensore sociale” che solo l’istruzione avrebbe potuto garantire, negando il diritto di affermarsi anche a coloro che si impegnano e si sacrificano, ma di cui di fatto si disconosce il valore, in un generale e ingeneroso appiattimento collettivo, all’interno del quale solo i furbi e i benestanti riescono a raggiungere i loro traguardi.
Ma un altro colpo formidabile alla logica di una società meritocratica è stato inferto dalla classe politica con il varo del “porcellum”, e cioè dalla legge elettorale proporzionale introdotta dal Centro Destra a guida Berlusconi alla fine del 2005, che ha tolto da allora ai cittadini il diritto ad eleggere i propri rappresentanti, a beneficio della nomina dall’alto da parte dei capi partito. Una pratica abominevole che ha determinato il degrado progressivo della qualità della classe politica parlamentare, che non a caso ha raggiunto gli attuali livelli di inadeguatezza, che sono stati alla base della vittoria del Si al referendum consultivo sul taglio di un terzo dei parlamentari.
Ecco perché la Buona Destra individua nella Scuola e nell’Università le prime istituzioni su cui intervenire, puntando su una forte discontinuità rispetto al passato e restituendo a queste entità fondamentali per l’educazione e la formazione dei giovani una valenza che le rimetta alla pari con la funzionalità e l’efficienza delle medesime istituzioni dei Paesi più avanzati, e ritiene non procrastinabile l’esigenza della restituzione al popolo del diritto di eleggere i propri rappresentanti.
Inoltre una società fondata sul merito, non è una società che disconosce il diritto dei più deboli ad avere il rispetto e l’assistenza che la loro condizione impone. In una società giusta, nessuno deve rimanere indietro, ma si deve anche consentire, a chi ha ne ha la capacità, di andare avanti senza ostacoli e senza subire torti e mortificazioni, come vedersi superato da pratiche clientelari e nepotistiche.
La differenza tra una società come quella attuale nel nostro Paese, che si ispira ad una visione meramente assistenziale, che ricorre a misure diseducative come il reddito di cittadinanza, che comportando lo strano calcolo di poter decidere di non andare più a lavorare, ne fa uno strumento
alternativo all’impegno lavorativo, più che una misura di assistenza, rispetto ad una società come
quella auspicata dalla Buona Destra, fondata sul merito, non consiste sulla più o meno alta
capacità di garantire le categorie più fragili, ma al contrario nell’evitare la crescita strumentale di
tali categorie, privilegiando la via naturale del lavoro, dell’impegno sociale e del contributo alla comunità, che invece manca del tutto nella visione della società assistita, vittima di se stessa e delle logiche della “decrescita felice”, che inducono di fatto alla “società della povertà”.
La Buona Destra vuole rendersi promotrice di un modello di crescita e di benessere fondato sul lavoro della maggior parte degli italiani, creando una società dove i livelli di occupazione crescano almeno fino a toccare e, se possibile superare, le medie europee, quale elemento fondamentale per creare la ricchezza necessaria a fare fronte a tutte le esigenze di reale fragilità sociale, che dovranno essere affrontate e risolte, senza ricorrere come si è fatto fino ad ora, all’aumento esponenziale del debito pubblico, ma con le risorse che la stessa società riuscirà a produrre e a garantire anche nel futuro.