L’agenda Meloni sbandierata in campagna elettorale è tutta da riscrivere perché, senza risorse, non si va da nessuna parte. Per questo, nei discorsi della leader di Fratelli d’Italia, sono spariti l’extra-deficit, l’innalzamento delle pensioni minime, il superamento della legge Fornero, il taglio del 30% delle bollette.
“Sarà necessario mantenere e rafforzare le misure nazionali su bollette e carburante. Un impegno finanziario imponente che drenerà gran parte delle risorse reperibili, e ci costringerà a rinviare altri provvedimenti che avremmo voluto avviare già nella prossima legge di bilancio”. Queste poche parole offerte da Giorgia Meloni all’aula di Montecitorio – e riprese da Claudio Paudice sull’Huffpost – condensano i due giorni di dibattiti alla Camera e al Senato sul voto di fiducia al neonato Governo di centrodestra. Nell’arco di un istante lungo 70 minuti, quanto il suo discorso ai deputati e senatori, è passata in cavalleria gran parte del programma economico con cui la coalizione si è presentata alle elezioni, vincendole.
Ad agosto la premier propose infatti di scorporare le spese destinate a contrastare il caro energia dal calcolo del deficit. Idea improvvisamente scomparsa dai suoi interventi nei due rami del Parlamento, repliche incluse. Per non parlare – scrive sempre Paudice – della divisiva questione dello scostamento di Bilancio: “È una priorità assoluta”, disse a febbraio ospite di Alessandro Giuli ad Anni 20 Notte (minuto 22).
Ma l’extra-deficit, assente ingiustificato nel vocabolario della premier, non è l’unica strana sparizione nell’articolata agenda Meloni illustrata ripetutamente in campagna elettorale, ovvero quella dimensione spazio-temporale con cadenza solitamente quinquennale durante la quale la gravità cessa e le parole non hanno più alcun peso. Ad esempio, l’annunciato innalzamento delle pensioni minime promesso dalla coalizione di centrodestra non trova spazio nel manifesto programmatico della premier: “Intendiamo facilitare la flessibilità in uscita”, ha promesso, partendo subito dal rinnovo delle misure in scadenza a fine anno nella prossima legge di bilancio. Di tempo d’altronde non ce n’è tanto, ma più che altro non ci sono le risorse. E per aumentare le pensioni minime a un livello dignitoso servono già diciotto miliardi, secondo i calcoli della stessa leader di Fratelli d’Italia, pubblicati in un suo vecchio intervento su Libero.
Sul lavoro la premier ha poi ribadito in aula la promessa di mettere mano finalmente al cuneo fiscale: “Il nostro obiettivo è arrivare progressivamente a un taglio di almeno cinque punti, due terzi lato lavoratore un terzo lato azienda, per i redditi più bassi fino a 35mila euro”. In campagna elettorale Meloni aveva promesso una sforbiciata al divario tra costo del lavoro e reddito percepito in busta paga, dal valore di sedici miliardi. A luglio, in una intervista al Sole 24 Ore fece intendere che la misura poteva subito trasformarsi in realtà: “Dall’inizio dell’emergenza Covid abbiamo speso 200 miliardi in deficit, crede davvero che non si potevano trovare 16 miliardi per il cuneo? È una questione di scelte”, ma la scelta almeno per ora è rinviata e il governo di centrodestra adotterà un approccio graduale per ridurre il cuneo. Nonostante per Meloni il tema del lavoro sia da sempre una “priorità”, parola il cui significato non si sposa con l’esigenza del rinvio. Ma il problema sono le risorse: Giorgia Meloni con ogni probabilità si limiterà ad approvare una manovra di bilancio entro la fine dell’anno che eredità il rinnovo delle misure adottate fin qui dal Governo Draghi e che ammontano, insieme alle spese indifferibili e alcune misure tampone estrapolate dal programma di centrodestra, a quaranta miliardi circa.
Ma era stata Meloni stessa a criticare gli effetti degli interventi tampone – ricorda sempre Paudice – che potevano andar bene a febbraio ma poi andavano sostituiti da interventi di sistema per una politica energetica complessiva “perché non avremo sempre a disposizione cinque o sette miliardi per il caro bollette”. E invece al Senato la premier ha rispolverato la misura tampone per eccellenza, la tassa sugli extra-profitti introdotta senza molte fortune da chi l’aveva preceduta, Mario Draghi: per aiutare famiglie e imprese ad affrontare il caro bollette servirà recuperare “risorse nelle pieghe del bilancio, ma principalmente recuperandole dagli extraprofitti con una norma che io credo vada riscritta, e dall’extragettito che lo Stato comunque ricava dall’aumento dei costi dell’energia”. In altre parole, “penso che occorra lavorare con molta puntualità con interventi ben calibrati”.
Insomma: tutto sembrava più facile a dirsi che a farsi.