Ai cittadini di Mariupol è stata tolta la vita e, ora, anche la dignità della morte. La città resterà sotto il controllo dei russi e, per questo, non si avrà mai contezza di quel che è successo davvero: ci sono solo le immagini satellitari di alcune fosse comuni e di palazzi distrutti.
Dove le milizie di Putin si sono ritirate abbiamo scoperto l’orrore: è stato ed è doloroso, ma le vittime sono state riconosciute e hanno avuto sepoltura. A Mariupol non sarà così. E c’è anche da chiedersi che fine abbiano fatto i suoi 400mila abitanti.
A fare una stima del “bottino” di Putin è oggi su Il Foglio Paola Peduzzi, che fa un’analisi estremamente lucida della fallimentare dello zar.
“Duecentoquarantacinque combattenti ucraini – scrive la giornalista – sono stati evacuati dall’acciaieria Azovstal di Mariupol e portati a Novoazovsk, a est della città portuale, in una zona occupata dai russi, e a Olenivka, in Crimea. Più di cinquanta di loro sono feriti, non si sa quanti siano ancora dentro Azovstal. Il ministero della Difesa russo ha pubblicato alcuni video dell’evacuazione, che definisce ‘resa’”. Solo che, in realtà, dopo 82 giorni di assedio e bombe, Vladimir Putin può anche mostrare le immagini di un suo successo, ma non c’è stata una resa: il governo di Kyiv ha infatti spiegato che c’era un accordo per uno scambio di prigionieri da finalizzare quando le evacuazioni fossero finite. “Qualche ora dopo – scrive ancora Peduzzi – il procuratore generale della Russia ha chiesto alla Corte suprema di riconoscere il reggimento ucraino Azov, i cui combattenti erano dentro l’acciaieria, come ‘organizzazione terroristica’”. Ma se i prigionieri che fino a poco prima erano parte di un accordo di scambio ora sono terroristi, lo scambio non c’è più e il loro destino è segnato. “Gli eroi ci servono vivi”, ha detto il presidente Volodymyr Zelensky, ma Putin ha trovato il modo per farli sparire.
Si è detto molto sul sacrifico degli uomini di Azov, ma non c’era alcun martirio in corso. “La resistenza di Mariupol era una scelta strategia – spiega Peduzzi – Finché i russi erano impegnati a Mariupol, restavano sguarniti sul fronte del Donbass: questi 82 gorni hanno permesso alle armi occidentale di arrivare, all’esercito ucraino di organizzarsi e ai russi di rallentare. E si dimentica spesso che Mariupol era l’obiettivo (mancato) di Putin nel 2014: nella guerra di oggi, il presidente russo la dava per scontata. Invece ha dovuto raderla al suolo per conquistarla, e ha dovuto fingere che gli ucraini si consegnassero, quindi si arrendessero, per poter dire di aver portato a compimento quello che era l’obiettivo minio della sua campagna militare. E come sempre accade quando c’è qualche movimento più rilevante nel sud-est dove l’esercito russo si è “riorganizzato”, cadono le bombe altrove, in modo che l’Ucraina non si senta mai al sicuro”.
E’ vero, certo, che la conquista di Mariupol è importante per Putin, perché permette di collegare la Crimea al Donbass e di consolidare il territorio occupato ad est e a sud.
La strategia putiniana che si fonda sul principio che sono gli ucraini stessi a voler essere liberati dai “nazisti drogati” che governano a Kyiv ha al contrario subito una sconfitta disumana. “Poiché Putin – aggiunge Peduzzi – non sa conquistare i cuori e le menti degli abitanti delle città che invade, a Mariupol ha deciso di farli fuori tutti. Qui, prima della guerra, c’erano circa 400 mila persone: una parte è scappata subito, una parte è stata uccisa (il 12 aprile, quindi più di un mese fa, il sindaco aveva detto che c’erano 21 mila vittime, chissà adesso), una parte è stata
evacuata in zone sotto il controllo ucraino (sono i cosiddetti fortunati: molti di loro hanno raccontato la loro “fortuna”, fatta di buio, fame, terrore), una parte è ancora in città non si sa in quali condizioni, una parte è stata deportata”.
Secondo l’intelligence britannica, ci sono sessantasei campi di “‘smistamento” in Russia dove sono detenuti circa 95 mila abitanti di Marinpol. E il loro destino è maledettamente incerto.