Egregio
direttore,
nel 2018 i nati vivi in Italia sono stati 439.747, mentre nel 2017 erano 458.151 (dati Istat). Basterebbe comparare queste due cifre per farci capire come la crisi che il nostro Paese sta attraversando sia non solo culturale e sociale, ma anche e soprattutto demografica.
Demografia e democrazia, a mio parere, sono e saranno sempre strettamente connesse. Innanzitutto basta soffermarsi sulla loro etimologia: derivano entrambe dal greco e significano letteralmente “scrivere (sul) popolo” e “potere (del) popolo”. Prendono in esame entrambe aspetti significativi della vita sociale; la demografia “è la scienza che ha per oggetto lo studio delle popolazioni umane, che tratta del loro ammontare, della loro composizione, del loro sviluppo e dei loro caratteri generali, considerati principalmente da un punto di vista quantitativo”, mentre la democrazia “è la forma di governo basata sulla partecipazione di cittadini uguali, in cui il potere è esercitato dallo stesso popolo per mezzo di rappresentanti liberamente eletti”.
Perché sono connesse?Per una serie di motivi. Innanzitutto
un paese come il nostro che fa sempre meno figli vede sempre di più aumentare
la popolazione anziana a discapito di quella giovane (oggi i principali
istituti, poiché la speranza di vita si è molto allungata, indicano nell’ampia
fascia dai 14 ai 35 anni l’età giovanile e quella degli anziani solo oltre i 75
anni). Dobbiamo immaginare la nostra popolazione come una piramide, in cui la
base (i giovani) sorregge gli adulti e gli anziani, non solo poiché con il loro
lavoro pagano le pensioni a chi dopo una vita di può finalmente riposarsi, ma
anche per altri motivi. Per esempio, gli anziani hanno molto più bisogno di
cure mediche dei giovani, e in un sistema di mutua universalistica come quello
italiano (non lamentiamoci come siamo soliti fare, abbiamo il terzo miglior
sistema sanitario al mondo, ovviamente con squilibri tra nord e sud del paese)
un numero in costante aumento di prestazioni sanitarie per una popolazione
sempre più vecchia comporta costi sempre più alti per la collettività, e non è
irragionevole pensare che il sistema così congegnato prima o poi collasserà.
La Lombardia, che ha forse il miglior sistema sanitario nazionale, destina circa l’80% del suo bilancio per la sanità e questo è un dato su cui chiunque dovrebbe fermarsi a riflettere. Ma non è solo questo il problema di una popolazione che invecchia sempre più e non fa figli: oggi, pensate, una famiglia su tre è composta da un single, un altro terzo è formato da due componenti (una coppia senza figli o un genitore con un figlio) e soltanto due famiglie su dieci sono composte da 4 persone. Aggiungo che il 60% dei figli tra i 18 e i 34 anni vive ancora coi genitori.
Fatta questa diagnosi, passiamo alle possibili
cure. La
prima cosa da fare è aiutare le famiglie che credono nel futuro e investono nei
figli tramite il cosiddetto “quoziente famigliare”: bisogna avere il coraggio
di dire che chi ha più figli dovrebbe pagare meno tasse in proporzione rispetto
ai single. Con questo non
perché si voglia discriminare chi sceglie una vita monofamiliare per vari
motivi, bensì perché tutti dovremmo riconoscere che fare figli è un bene per la
nazione. Nel passato si sono
fatti ammirevoli passi avanti nella direzione dei diritti (penso alle unioni
civili, al testamento biologico, alle leggi che tutelano le donne e al divorzio
express), tuttavia nessun governo di centrodestra, centrosinistra, tecnico,
gialloverde o giallorosso ha mai posto attenzione sulle famiglie. Non basta creare un dicastero ad
hoc e fare dei proclami pro famiglia (magari strumentalizzando eventi come il
gay pride e in antitesi il family day): un politico che ha veramente a cuore le
politiche famigliari non dovrebbe dormire di notte sapendo che in Italia quasi
nessuno pensa più al futuro.
Certo
viviamo in una società che secondo me è persino obsoleto definire liquida:
siamo allo stato aeriforme e quindi molte persone sono spaventate da tutto ciò
che è definitivo e comporta obblighi e vincoli (si veda il drastico calo di
matrimoni, sia civili sia religiosi e il fatto che le unioni civili dal 2016 a
oggi siano state in Italia poche migliaia). Basterebbero poche altre cose oltre
al quoziente famigliare: asili gratis (ma per davvero), aiuti concreti e non
teorici come ora agli asili e alle scuole paritarie e alle agenzie formative
come gli oratori che sono delle vere e proprie palestre di umanità e
accoglienza per tutti, non solo per i cattolici prendendo anche spunto dalla
laicista Francia che offre pannolini e latte gratis alle mamme.
Se
non ci occuperemo seriamente della famiglia, il nostro non sarà solo un
declino, ma un’estinzione.