Almeno stando alle ultime dichiarazioni, sembra che lo abbiano capito anche loro che nella guerra in Ucraina ogni propensione pro Putin mascherata da equidistanza è inaccettabile. Eppure il loro no all’invio di armi agli ucraini resta. Anche nel giorno della Liberazione, anche nel giorno in cui non si può negare che la resistenza celebrata il 25 aprile ha pari dignità con quella coraggiosa del popolo ucraino.
Il primo ad abiurare, seppur debolmente, l’equidistanza fino ad oggi sbandierata è stato il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo: dopo aver chiesto di “accertare la verità su Bucha”, come se la verità non fosse già chiara, ha ricevuto il biasimo dell’opinione pubblica e una sonora tirata d’orecchi da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E ha fatto dietrofront, sganciandosi almeno a parole dal filoputinismo di cui in queste settimane l’Anpi è stata accusata.
“Non si può mai, neppure per un momento, mettere sullo stesso piano i diritti di chi è stato aggredito e di chi ha aggredito” afferma tardivamente il presidente dei partigiani italiani che, con una giravolta degna di un derviscio rotante, ha persino il coraggio di dire che le sue parole sono state male interpretate. Addirittura si spinge oltre, tanto da affermare che “è fuorviante chiamare guerra questa guerra, perché in effetti la guerra è fatta tra due parti, qui invece c’è un’aggressione in piena regola”. Una conversione che ha del commovente.
“Tutto è nato dall’invasione russa – incalza, stavolta senza dare addosso a quei brutti e cattivi della Nato – moralmente è giuridicamente da condannare e condannata, senza se e senza ma, a cui hanno fatto e stanno facendo seguito uno scempio di umanità e di vita del popolo ucraino e una legittima resistenza armata”. Pagliarulo però – mica si può pretendere tutto dalla vita! – resta fermo nel no dell’Anpi all’invio di armi all’Ucraina, fatto questo che getta un’ombra sulla repentina conversione del tanto discusso presidente dei partigiani.
Cerca di smorzare i toni, con scarsa convinzione in realtà, anche Giuseppe Conte, leader del M5S, partito che si è messo di traverso sull’aumento per la spesa per gli armamenti proposta dal Governo Draghi. Ma non arretra sugli armamenti. Conte ha parlato di “sostenere Kiev con aiuti militari, economici e umanitari”, sebbene la corrispondenza di amorosi sensi con Putin gli impedisca di dare l’ok ad un nuovo invio di armi più potenti agli uomini del presidente Zelensky.
“Siamo contrari alla fornitura di armamenti sempre più pesanti e offensivi, per aiutare l’Ucraina l’Italia non può impegnarsi in una forsennata corsa al riarmo – ha affermato Conte, dimenticando forse che per difendersi da un’aggressione violenta come quella dei russi servono le armi -. Dobbiamo offrire i mezzi a chi sta esercitando il diritto all’autodifesa ma non siamo disponibili a una escalation militare, l’unica escalation che vogliamo è quella diplomatica”.
Anche il ministro Roberto Speranza, leader di Articolo Uno, ha chiarito durante il congresso del partito che la guerra in Ucraina “è un’atroce responsabilità della Russia, è la guerra scellerata di Putin. Sostegno pieno e senza ambiguità all’Ucraina”. Speranza sugli aiuti militari all’esercito di Kiev ha mostrato minore egoismo. “Bisogna aiutare l’Ucraina per creare le condizioni per la pace – ha concluso Speranza – non per fare più guerra. La responsabilità della politica è quella di scelte difficili. Io ho dovuto farla e penso sia stata giusta”.