Oggi si festeggia la Pasqua cattolica, la festa della rinascita. Siamo con i difensori di Mariupol, la città distrutta dall’invasore russo in Ucraina. Con il maggiore Serghey Volyna, comandante della 36esima Brigata dei Marines ucraini. Che non si arrendono e hanno dichiarato di voler combattere fino all’ultimo uomo. Chissà se in queste ore le acciaierie Azovstal, dove il maggiore Volyna insieme al comandante Prokopenko del Reggimento Azov e ad altri duemilacinquecento uomini sotto terra, sono già state “ripulite” insieme al porto della città, come ha fatto sapere ieri il comando russo, a un mese e mezzo dall’inizio dell’assedio. “La loro unica chance di sopravvivenza è deporre le armi”.
Sono le prove tecniche della guerra di logoramento a cui assisteremo nelle prossime settimane e forse mesi. Trincee contrapposte e secondo Zelensky, la possibilità che Putin intimi la resa agli ucraini con la minaccia di un attacco nucleare tattico o con armi non convenzionali come quelle chimiche. L’area urbana di Mariupol non esiste più, piegata dai bombardamenti, tra ucraini morti, deportati e bambini morti di fame pur di scampare alle bombe. Il capo dei separatisti del Donetsk è stato ancora più chiaro, “i combattenti ucraini che rimangono a Mariupol e rifiutano di arrendersi saranno eliminati”.
Per stanare i difensori di Mariupol, i russi sono pronti a sganciare le FAB-3000, bombe ad alto potenziale lanciate dai Tupolev, tremila chili di TNT riesumati dal vecchio arsenale sovietico. Bomve ‘in grado di penetrare un’armatura fino a 288 mm di spessore, con un raggio di distruzione di 46 metri e un raggio di dispersione dei frammenti di 260 metri’. Questo è il modo in cui Putin pensa di vincere la guerra, considerando che on the ground, sul terreno, non ci riesce. E allora, in questo giorno di festa, siamo con i difensori di Mariupol, buona festa della rinascita, mentre l’Occidente se ne frega.