“Né con la Russia, né con la Nato” is the new litania terzista degli anni di piombo “Né con lo Stato Né con le BR”.
Come ci ricorda Alessandro Barbano sulle pagine de Il Dubbio, le arringhe di Donatella di Cesare e Barbara Spinelli, rispettivamente su La Stampa e su Il Fatto, in cui da una parte si minimizza lo scontro tra democrazie occidentali e autocrazia, e dall’altra si critica l’occidente “reo” di aver tentato di allargare l’influenza Nato a Est, sono un lampante esempio di cerchiobottismo militante.
E ha ragione Barbano quando critica queste posizioni, che a suo dire non difendono la libertà e la democrazia mentre le bombe russe devastano l’Ucraina. “Qui ci preme segnalare uno strabismo che finisce per mettere sullo stesso piano le asimmetrie e le incompiutezze della liberaldemocrazia con le scorciatoie dei regimi – scrive Barbano -, le oligarchie della globalizzazione con le oligarchie di Stato, le amnesie e i tatticismi dell’Occidente con l’aggressione dei tank e delle bombe russe alla vita dei cittadini di un Paese sovrano.
“È una forma tutta particolare di cancellazione culturale – aggiunge -, che impedisce di misurare il peso e gli effetti del potere nello spazio e nel tempo, cioè nel presente e nella storia, e approda a una negazione delle differenze che qualificano le azioni individuali e i grandi processi collettivi. Nel racconto noir dei trent’anni dalla caduta del muro di Donatella Di Cesare e Barbara Spinelli, c’è il naufragio della pregiudiziale che separa chi difende e promuove la democrazia e chi la avversa. Senza la quale è perfino possibile coltivare il luogo comune, diffuso ai giorni nostri, che le autocrazie abbiano rispetto ai sistemi democratici il vantaggio della risolutezza”.
Un relativismo che fa male alla democrazia. E che nutre il populismo. “È lo stesso schema che equipara il rigore dell’ordoliberismo tedesco alla ferocia della satrapia moscovita – ancora Barbano -, facendo corrispondere ai prezzi civili e sociali, pagati dalla Grecia per la stretta finanziaria imposta dall’Europa nel 2014, quelli inflitti da Putin all’Ucraina. Questa retorica ha insieme un cedimento anarchico e un tratto latente di antagonismo, come retaggio ideologico del Novecento marxista proiettato nella postmodernità.
“Stavolta è proprio l’accerchiamento finanziario la leva più potente per piegare la protervia del dittatore – conclude la sua analisi -. È questo lo scandalo inusitato della crisi ucraina, che disarma il racconto antioccidentale della crisi: la prova che la politica e la finanza possono tornare in connessione nel nome della pace e della libertà. È la sfida della nuova Europa, difficile ma non impossibile, e comunque tremendamente attuale: rischiarare con una nuova alleanza fondata sui valori della democrazia l’oscurità del pensiero debole che, negando ogni distinzione, offre il bene e il male alle convenienze del dittatore di turno”.