di Francesco Rubera
Nonostante la pandemia continui a crescere, il Pil cinese supererà quello americano. La Cina sarà la prima superpotenza mondiale che trainerà l’economia mondiale dopo oltre un secolo di supremazia americana. Il 2020, che segna la recessione economica globale, vede la Cina crescere dell’1,9%, secondo le stime del Fondo monetario internazionale, mentre il resto del mondo presenta una decrescita con segno negativo: Stati Uniti (-4,3%), Germania (-6%), Giappone (-5,3%), Italia (-10,6%).
Secondo il Centre for Economics and Business Research, nel 2028 la Cina diventerà la prima superpotenza mondiale. Nel 2030, l’India potrebbe diventare la terza economia mondiale, superando Europa e Giappone. La moneta cinese è stata accettata dal Fondo monetario internazionale come valuta di riserva, con un valore pari al 2,1% del totale espresso in altre valute (dollari ed euro).
Ovviamente, questo dato è storpiato rispetto alla realtà economica che vede il PIL della Cina al primo posto. Per questo motivo la Cina, consapevole della sua potenza, reclama il suo potere finanziario. È ovvio che il presidente Biden non metterà in gioco il sistema valutario statunitense senza una contropartita sul piano degli scambi commerciali. Ma gli esperti di strategia economica di Pechino sono stati molto bravi a sfruttare il calo americano ereditato dai dazi Americani di Trump e il vuoto del periodo di transizione Trump-Biden, per firmare il più grande accordo commerciale al mondo, che oltre alla Cina comprende ad es. il Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda. La Cina quindi si propone come il precursore della globalizzazione e della cooperazione multilaterale, annientando la posizione storica di dominio degli Stati Uniti.
E l’Europa, stretta tra le due superpotenze, oltre quelle nuove emergenti (Russia, India)? Cercherà di sfruttare il ritorno dei moderati di Biden per riequilibrare i rapporti con gli Stati Uniti? Nessuno potrebbe rispondere atteso che allo stesso tempo Bruxelles si avvia a stipulare importanti accordi con Pechino, a partire dal “Comprehensive Agreement on Investment” negoziato per sette lunghi anni e guidato dalla Germania di Angela Merkel. L’ Europa ha capito che la Cina servirà a migliorare i propri rapporti con gli Stati Uniti. In pratica l’Europa, attenta all’Alleanza Atlantica, non perde di vista i grandi benefici della Via della seta. Si tratta di scelte strategiche seguite anche da Tokyo, che vuole svincolarsi dagli interessi americani dopo l’esperienza Trump. Tuttavia l’Europa ha tecnologie più deboli di Stati Uniti e Cina, ma può ritagliarsi lo spazio di importatore, equilibrando la domanda tra Washington e Pechino con l’obiettivo di farsi abbassare i prezzi.
Il nuovo ordine economico mondiale post Trump si farà sentire nei portafogli globali, dove la Cina peserà sempre di più, anche a livello valutario. Se il mercato finanziario americano è molto più integrato di quello cinese, nei prossimi anni Pechino conquisterà spazi ben più vasti. Già oggi tutti i grandi provider di indici di valutazione da FTSE a CITIGROUP, hanno inserito la Cina nei loro panieri. Tuttavia in Cina esiste un forte punto debole: le banche dominano il settore obbligazionario ed inoltre esiste un forte connubio tra aziende parastatali e private. Gia’ dagli anni 90 la Cina ha un peso demografico in tutto il mondo e può contare di una rete commerciale ramificata in tutto il mondo. Ed invero, a fronte di ciò, Pechino per evitare la crisi alimentare ha di fatto acquisito fette di Africa e stipulato accordi con Australia e Indonesia, in modo da assicurarsi il cibo per sfamare la popolazione e le materie prime per alimentare la crescita. La Cina di ieri delle riforme di Deng Xiaoping ha vinto la scommessa e oggi raccoglie i frutti di una crescita trentennale, conquistando a pieno titolo una fetta di potere finanziario adeguata al suo peso economico globale.
Di fronte a queste strategie, l’Europa frastagliata e frenata dagli egoismi nazionalisti dei singoli stati non potrà rievocare la storia del peso dell’antico continente, vuoi per gli insensati campanilismi anglosassoni della Brexit, vuoi per gli antistorici referendum Francese e Olandese che hanno negato l’idea di unità politica europea. Senza costituzione europea degli Stati Uniti d’Europa non ci resta altro spazio che quello di restare spettatori, che come consumatori globali fanno da ago della bilancia per cercare diplomaticamente di mantenere gli equilibri, affinché possa ancora sopravvivere questo continente che ha fatto la storia del mondo. Ma quando la bilancia non starà più in equilibrio, questa Europa è destinata, in questo panorama, a divenire colonia di qualche potenza.