di Nicola Bono
Tutto in Italia è discutibile e non ci sono certezze in nessun contesto, perché anche quando si confermano i doveri, c’è sempre qualche norma da utilizzare ed interpretare per fare la cosa contraria, con la scusa dei diritti. E’ il caso dei vaccini e della ormai ridicola pantomima che viene recitata quotidianamente sul palcoscenico del nostro Paese, sempre più distante da logiche semplici e razionali di gestione della cosa pubblica.
La domanda è: può mai essere tollerato il comportamento di un dipendente sanitario, sia privato che, a maggior ragione, pubblico che rifiuti in piena pandemia di sottoporsi alla vaccinazione a tutela sua e dei pazienti che dovrebbe accudire?
Credo che in linea di etica e di principio tale possibilità non possa essere riconosciuta da nessuno. Ed è così in ogni parte del mondo, essendo un controsenso anche il concepire un medico o un paramedico che rifiutino in piena pandemia di immunizzarsi dal virus che sta devastando il mondo con milioni di morti. Ma in Italia non sembra che sia tanto anormale se per esempio l’INAIL, e cioè l’Istituto Nazionale per gli Infortuni sul Lavoro, ha ritenuto che le “tutele debbano essere garantite anche per il personale sanitario che rifiuta la somministrazione del vaccino”, dando così a 15 infermieri di una struttura sanitaria di Genova, infettati per rifiuto delle vaccinazione, la piena copertura dell’Ente, con la sola osservazione, bontà sua, di ipotizzare la possibile negazione del risarcimento del danno da parte del datore di lavoro. Una pronuncia che, in un sistema ormai incapace di distinguere gli errori dalle aberrazioni di una deriva di assenza di logica nei comportamenti pubblici e privati, è passata quasi inosservata e comunque non ha neanche sollevato un dibattito sul merito.
Il punto è che si ricorre sempre alla carta costituzionale, che afferma principi generali, per dare indirizzi su questioni particolari, come è il dato oggettivo di una pandemia da sconfiggere con l’unico strumento conosciuto e cioè il vaccino. Da qui la richiesta di leggi che obblighino alcune categorie di operatori a vaccinarsi, e di contro le considerazioni di chi, come il professor Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, ritiene che le leggi già ci siano e devono solo essere applicate.
Ma come, verrebbe da chiedersi, le leggi ci sono e l’INAIL non lo sa? In effetti le leggi ci sono e sono anche chiare. Basti guardare il combinato disposto del Decreto legislativo n. 81 del 2008, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e della legge n.24 del 2017, in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché della responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, che non lascia margini di interpretazione e non può in alcun modo essere ignorato con il ricorso alla norma costituzionale per la quale “nessuno può esser obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. E ciò sia perché la disposizione di legge c’è, sia perché nella fattispecie non di trattamento si tratta, ma di un requisito fondamentale per lavorare.
Per questo i dieci operatori sanitari di Belluno sono stati sospesi dal lavoro e non sono stati reintegrati da una sentenza della magistratura. Ma ciò non ha impedito che a Lavagna, in provincia di Genova, otto pazienti ed un infermiere siano stati contagiati si ritiene, a detta del governatore Toti, da personale sanitario non vaccinato.
Con la complicazione supplementare che l’Asl n. 4, competente per territorio, ha dichiarato di “non essere in grado di individuare eventuali no vax tra il personale, perché i dati sono coperti dalla privacy”. Cioè untori a cui si assicura l’impunità.
Un Paese non può vivere solo di diritti, il diritto a non vaccinarsi, anche se si è operatori sanitari, il diritto alla privacy, per sfuggire alle proprie responsabilità e mai nessun dovere, come ad esempio quello di rispettare il diritto altrui alla salute e il diritto del paziente di essere guarito e non infettato.
Quindi non appare motivata l’esigenza di scrivere nuove leggi, facendo finta di ignorare quelle che già ci sono, così come non appare accettabile che una minoranza ispirata non da logiche scientifiche, ma spesso da pregiudizi e paure, possa operare in assoluta impunità e minare la sicurezza e la salute delle persone.
Il principio costituzionale del diritto a rifiutare il vaccino è sacrosanto, ed appartiene alla sfera della libertà individuale che deve essere sempre tutelata, ma tale diritto deve necessariamente essere bilanciato con l’altrettanto fondamentale tutela del diritto alla salute di tutti i cittadini, che vanno protetti ad ogni livello e messi in sicurezza rispetto a qualsiasi minaccia. Anche l’introduzione del passaporto vaccinale, appartiene alla categoria dei diritti alla salute e alla libera circolazione che non può essere concessa a chi rifiuta di mettersi al sicuro dal contagio.
Il governo su questi principi deve fare subito chiarezza, sia in termini esplicativi, ribadendo e precisando le norme di legge esistenti, che in termini di chiari indirizzi per l’esclusione obbligatoria dalle attività di quanti confermino il rifiuto a vaccinarsi, perché non solo occorre garantire il diritto alla salute della collettività, ma soprattutto fare cessare polemiche strumentali e ingiustificate che minano la credibilità del Paese.