di Alessandro Cini
Didattica a distanza e in presenza con classi smembrate, palestre utilizzate come aule, banchi a rotelle, sanificazione delle mani, mascherine, distanziamento, tracciamento, chiusura. Quando una situazione appare già abbastanza ingarbugliata, ricordate sempre che potrebbe andare peggio: potrebbe piovere. E in effetti anche in questo annus horribilis è arrivata, come la pioggia nella scena del cimitero in “Frankenstein Junior”, la consueta nota stampa che illustra i risultati del rapporto Eduscopio, progetto di ricerca sostenuto dalla Fondazione Agnelli.
Per quanti si fossero distratti, ricordiamo che la Fondazione Agnelli ha tra i suoi encomiabili obiettivi quello di “approfondire e diffondere la conoscenza delle condizioni da cui dipende il progresso dell’Italia in campo economico, scientifico, sociale e culturale”. Dal 2008 la Fondazione presieduta da John Elkann, che registra, tra le altre, la presenza nel suo CdA dell’ex ministra del Miur, Valeria Fedeli, “ha concentrato attività e risorse sull’education (scuola, università, apprendimento permanente), come fattore decisivo per il progresso economico e l’innovazione, per la coesione sociale, per la valorizzazione degli individui”.
Ecco appunto, la pioggia. Non bastava una pandemia che ha rappresentato il perfetto stress test per ogni attività pubblica e privata italiana; non bastava che la Scuola venisse ridotta a un contenzioso tra attempati medici specialisti mai visti, né conosciuti; non bastava che i nostri figli e nipoti, studenti di ogni ordine e grado, divenissero protagonisti di una brutta serie di quelle prodotte per il web dal titolo “Didattica a distanza”.
No, non bastava. Con impietosa puntualità il rapporto Eduscopio è tornato a stilare le sue classifiche relativamente alla solidità formativa dei licei italiani, disegnando arbitrari confini trapresunte scuole di “eccellenza”, scuole “così così” e scuole “signora mia il ragazzo è intelligente, ma non si applica”. Lo studio prende in esame la carriera universitaria degli studenti coinvolti nella ricerca, e in base a una serie di parametri, che non contemplano affatto l’intero percorso scolastico dei ragazzi, assegna patenti di efficacia ai licei che hanno formato, o stanno formando, le nuove matricole.
In buona sostanza la tesi sostenuta dai ricercatori di Eduscopio è che sia possibile capire se il liceo in cui manderai tuo figlio sia o meno propedeutico, e di conseguenzaefficace, al raggiungimento dei suoi risultati universitari. L’invito, caloroso, è quello di leggere le classifiche di Eduscopio, suddivise per alcuni indirizzi scolastici: qui ci fermiamo tanto si fa sdrucciolevole e, ripetiamo, arbitraria la narrazione, temendo di trovare l’iscrizione “Hic sunt leones” oltre questo limite. In un Paese in cui le istituzioni universitarie e la ricerca sono nelle mani di pochi signori della docenza, in cui il termine “merito” rappresenta ormai solo un tic linguistico; in una Nazione nella quale, come spiega qualche sociologo, gli ascensori sociali sono fermi da tempo, la produttività è calata e il numero delle persone che non lavorano ha superato quelle che invece continuano a farlo, c’è chi mette in scena simpatici giochi pirotecnici, lasciandoci intendere che il successo universitario e l’accesso al mondo del lavoro dei nostri figli passi per un liceo piuttosto che per un altro. Senza considerare le condizioni ambientali, sociali, economiche, culturali e motivazionali di partenza di una matricola universitariache, oggi tanto quanto ieri, sono determinanti per qualsiasi analisi o valutazione, ci vengono a raccontare che i risultati raggiunti in un’università privata sarebbero tranquillamente equiparabili a quelli centrati in una statale, indipendentemente dalla città in cui si è studiato.
Mentre chi ha seriamente a cuore il futuro della Scuola italiana, avvilita dalla Dad, tramortita da fenomeni come l’abbandono scolastico e la crescita dei ragazzi NEET (oltre 2 milioni in Italia), si chiede quando verrà riformato questo vecchio opificio di fine ‘800, c’è chi ha la voglia e il coraggio di creare alla lavagna le colonne dei “buoni” e dei “cattivi”. Questo, lo sottolineiamo fino allo svenimento, nel tragico anno in cui una pandemia ha appena spazzato ogni certezza sul nostro futuro come sistema Paese. Che l’approccio al cambiamento delle politiche scolastiche siachiamato a una svolta radicale è un dato di fatto.
Se, tuttavia, non comprendiamo che considerare solo alcune realtà – e solo quelle –senza mostrare una visione d’insieme, continueremo a baloccarci con il conteggio di cittadini-fantasma che vivono a casa con mamma e papà ben oltre i 30 anni, senza cercare un lavoro, senza completare alcuna formazione, senza trovare alternative, rinunciando a una vita fatta di autonomia e di piena realizzazione personale.