E’ bastato un attimo e, in un Paese di 60 milioni di abitanti, i maggiori indiziati di pandemia, per qualcuno i veri responsabili di questo disastro annunciato sotto forma di virus, tornano a essere i nostri figli e nipoti. Un’Italia anziana, quella che presidia militarmente gli studi dei medici di base, quella che affolla i check point per il tampone rapido aumentando i rischi di contagio, quella che non ha mosso un dito per rimodulare il sistema del trasporto pubblico delle città, che non ha voluto e saputo capire che anche lo sport di base avrebbe dovuto fare la propria parte, che ha pensato bene di “fare cassa” questa estate pressata dai soliti noti, quella incapace di immaginare una scuola diversa da un grigio opificio di fine ‘800, punta nuovamente il dito contro il proprio futuro.
I giovani. Sarebbe come accusare di furto con scasso la propria mano e, per questo, condannarla alla pena capitale, come se il resto del corpo, cervello compreso, non ne sapesse nulla.
Roba da lettino psicanalitico. Sul proprio profilo social Carlo Cottarelli in queste ore scrive: “Si ricomincia a parlare di chiudere le scuole. Non voglio ironizzare su banchi a rotelle e altro. Ma dobbiamo evitare che quelli che ci rimettono siano i nostri ragazzi, soprattutto quelli delle famiglie più in difficoltà, che hanno tanto bisogno di andare a scuola.” Ve lo dico subito: io sto con Cottarelli. Non si deve essere necessariamente Don Lorenzo Milani per comprendere e accogliere questo messaggio di civiltà e si buon senso. Malgrado tutti gli errori di imperizia, disorganizzazione e mancato coordinamento commessi da un sistema politico ostaggio delle logiche elettorali e di partito, nonostante questo stesso sistema che poi governa Stato, Regioni e Comuni, noi, che ci reputiamo adulti responsabili, abbiamo ripreso in mano questa penosa, ridicola guerra generazionale.
Certo: rafforzare un pregiudizio è di gran lunga più facile e comodo che cambiare punto di vista, agendo di conseguenza. E’ la logica dell’individuazione dell’avversario tanto cara ai sovranisti, anche se in questo caso l’untore è formato “baby”, gira con i risvoltini ai jeans e indossa modelli di scarpe da ginnastica con nomi di androidi da saga di “Guerre Stellari”.
E giusto per restare in tema, anche la sola idea che lo spazio deputato alla Scuola potesse essere gestito come una bolla asettica costruita dai ricercatori della Nasa, era di per sé fantascientifica. Fuori dalle classi, infatti, un’intera società composta da aziende di trasporto pubblico urbano già in larga parte sofferenti, di un tempo libero ormai modulato sul ritmo “Trap” degli apericena, di attività sportive di base portate avanti da poveri e inermi appassionati e di luoghi di incontro riempiti furbescamente come tacchini della tradizione natalizia, ha continuato a operare cieca, muta e sorda dinanzi a un male subdolo e devastante.
Su quella fabbrica di travet che è la Scuola, realtà resa viva “da migliaia di gambe e di occhiali di corsa sulle scale”, sta per calare nuovamente il fallimentare sipario della didattica a distanza. Daremo nuovamente in pasto i nostri figli e nipoti a questa inutile, inefficace, settaria, classista, alienante, impersonale e fuorviante forma di insegnamento. Oltre al danno di vedersi trasmettere il sapere via web da qualcuno “Che ti legge sempre la stessa storia nello stesso modo, sullo stesso libro, con le stesse parole. Da quarant’anni di onesta professione”, i nostri ragazzi stanno per pagare un prezzo altissimo per vedere riconosciuto il proprio diritto a vivere la loro età.