di Francesco Rubera
Nella lingua Italiana ogni parola ha un suo significato ad esempio “delazione”. Il dizionario della lingua italiana la definisce “denunzia segreta motivata da ragioni riprovevoli”. E “delatore” è l’autore della delazione che il dizionario definisce “Chi per lucro, per vendetta, per servilismo, denunzia segretamente altri a una autorità, giudiziaria, militare o politica”.
E allora perché chi denuncia le feste condominiali irregolari è un delatore, anziché essere un cittadino che denuncia una violazione di legge e che quindi più che un atteggiamento servile e vendicativo assume un comportamento non omertoso? Quali ragioni riprovevoli vi sono in chi denuncia una situazione di illegalità seppur segretamente? O l’inciviltà del mancato rispetto delle regole poste a tutela della salute collettiva?
Il delatore è un pericolo per la democrazia, storicamente è un calunniatore, mi ricorda i “bravi” di manzionana memoria, seppur questi ultimi avessero in più l’aggravante dello stampo mafioso, di stile ottocentesco, figura mitologica letteraria, servile un po’ simile alle camice nere mussoliniane, storicamente più vicine ai nostri giorni.
Che senso ha parlare oggi nel 2020 di delatori ? Che si utilizzi il termine “delazione”, e quindi delatore, per indicare un soggetto che denuncia un illecito, mi pare eccessivo, sembra che il linguaggio giuridico stia assumendo una deriva filologica che rievoca spettri d’altri tempi. È solo questione di stile lessicale, o di etimologia delle parole, ma proprio nella storia delle parole usate viene fuori l’intenzione.
Nel sistema accusatorio, vigente in Atene e nelle città greche a regime libero vi era sempre un accusatore. Non si poteva procedere contro un cittadino se non vi fosse un accusatore, tanto che era sorta una classe di professionisti, odiata da tutti, molto pericolosa, che era individuata nei c.d. sicofanti. Il termine era usato in senso dispregiativo, per indicare un “calunniatore”. Il sicofante ricattava, minacciava di denunciare e per tacere chiedeva in cambio danari. Si trattava di un vero e proprio estortore.
I sicofanti rappresentano storicamente il disonore della grecia antica, distruttori della giustizia e della democrazia. Più in là, in epoca romana classica, il termine “delazione”, dal latino “delatio”, “deferire, accusare”, acquisì un significato meno increscioso, ma sempre ambiguo. Per i romani la delazione non era un mestiere, ma una pratica che procurava profitto a chi effettuava le denunce per svariati crimini, quando queste conducevano al successo della giustizia, quindi denunce fondate, tutto ciò proprio al fine di eliminare i calunniatori che si aggiravano a caccia di notizie (un po’ come certi pseudo-giornalisti di oggi).
La collaborazione nel denunciare i crimini dava ai magistrati romani delegati all’amministrazione delle provincie (crimen repetundarum) la possibilità di concedere al delatore, in caso di successo e per taluni reati, il diritto di cittadinanza romana oppure il diritto ad ottenere particolari concessioni. Gli abusi provocati da questa pratica avevano già dato luogo a leggi repressive. Sotto l’Impero, la delazione fu incoraggiata con larghi premî che, nei delitti di lesa maestà, ammontarono sino a un quarto dei beni del condannato.
Vi erano anche altre forme di delazione, oltre all’accusa criminale fatta da un privato, la denuncia di beni fondiarî spettanti al fisco. Quindi i delatori servivano anche a lottare l’evasione fiscale. Anche in tal caso veniva incoraggiata la pratica attraverso il compenso al delatore. In tutti i casi, con i romani, i calunniatori venivano severamente puniti. Quindi, il termine è passato ai nostri giorni, attraverso altre figure: gli informatori di polizia, i referenti di giustizia, i collaboratori, e persino i pentiti. In queste ultime ipotesi si tratta di figure importanti cui la giustizia ha fatto ricorso per abbattere l’omertà e sconfiggere la malavita organizzata.
E allora sarebbe stato più corretto usare il termine
“informatore condominiale”, oppure “referente di condominio” e invece no, non è questione lessicale, ma esattamente etimologica. Ed invero, non preoccupa tanto il fatto che un condomino denunci il vicino che abbia in casa più di 6 invitati ad una festa, ma il sentimento riprovevole del vicino, spesso spinto da invidia o da particolari avversità di vicinato che lo spingono a fare la segnalazione anonima. Probabilmente lo stesso vicino che quando sente gridare implicazioni di aiuto, provenienti dall”appartamento accanto, non chiama né la polizia e neanche i pompieri. Che non denuncia le violenze fatte in casa dentro l’appartamento limitrofo pur avendone consapevolezza. Il vicino che, quando la polizia bussa per capire se abbia sentito i ladri, mente, non sa’ , non ha visto.
Ecco, mi preoccupa molto questo vicino, che gode nel guastarmi la festa, ma gode altrettanto nel sentirmi urlare aiuto un po’ omertoso, un po’ delatore, molto sicofante. Mi preoccupa questo ambiguo senso di giustizialismo legiferato, che delega lo spionaggio riprovevole del vicino. Ma mi preoccupa sopratutto, che nella coscienza dei tanti vicini sicofanti potrebbero nascondersi i sentimenti dei vicini di Erba.