La Direttiva europea sulle fonti rinnovabili, comunemente conosciuta come Red III, ha suscitato un ampio dibattito e molte preoccupazioni riguardo alla sua fattibilità e alle conseguenze che potrebbe comportare per i paesi membri dell’Unione Europea, in particolare per l’Italia. L’obiettivo ambizioso di raggiungere il 42,5% dei consumi finali di energia da fonti rinnovabili entro il 2030, insieme a una percentuale non vincolante del 45%, sembra un compito titanico.
Uno sguardo ai dati attuali ci mostra quanto sia difficile raggiungere questi obiettivi. Nel 2022, solo il 19% dei consumi finali italiani proveniva da fonti rinnovabili, che includono energia solare, eolica, idroelettrica, geotermica, rinnovabili termiche e biometano. Mentre dal 2014 si è registrato un aumento di circa il 2%, dobbiamo ora crescere di ben il 23,5% nei prossimi sette anni per raggiungere l’obiettivo del 42,5%. Anche se si riuscisse a produrre tutta l’elettricità con fonti rinnovabili, cosa altamente improbabile, si starebbe ancora oltre il 10% al di sotto dell’obiettivo.
L’Europa nel suo complesso sta affrontando sfide simili, con una media di appena il 21% dei consumi finali di energia provenienti da fonti rinnovabili, solo due punti percentuali sopra l’Italia. La differenza fondamentale è che l’obiettivo non riguarda solo la produzione di energia rinnovabile ma anche l’aumento della quota di energia elettrica nei consumi finali, passando dall’attuale 21,5% al 29% entro il 2030. Questo doppio obiettivo rende la sfida ancora più ardua.
Diversi studi, tra cui quelli condotti da Terna, Confindustria e l’Università di Padova, hanno indicato le enormi quantità di lavoro e risorse necessarie per raggiungere questi obiettivi. Ad esempio, sarebbe necessario installare 700.000 pompe di calore all’anno, immatricolare 1 milione di auto elettriche all’anno (rispetto alle 50.000 del 2022), e installare 120 GW di nuove fonti rinnovabili, a un ritmo di quasi 20 GW all’anno rispetto ai modesti 3 GW dell’anno precedente. Inoltre, sarebbe necessario aumentare la produzione di biometano di 15 volte rispetto ai livelli attuali.
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La sfida è resa ancora più difficile dal fatto che nessuno di questi obiettivi ha seriamente la possibilità di essere raggiunto. Questo solleva la questione di perché l’Unione Europea insista nel fissare obiettivi chiaramente irrealizzabili. Questi obiettivi eccessivamente ambiziosi non solo generano frustrazione ma anche mettono a rischio la credibilità dell’UE e comportano costi elevati per le imprese e le famiglie.
L’Europa si è posta l’obiettivo delle zero emissioni al 2050, il che la costringe a fissare tappe intermedie altrettanto ambiziose. Tuttavia, finora l’unico risultato è stato la perdita di competitività dell’industria europea, con la creazione di mercati dominati dai produttori cinesi nel settore delle auto elettriche e delle fonti rinnovabili, insieme all’aumento dei costi per le imprese e le famiglie.
Inoltre, la recente preoccupazione espressa dalla Presidenza spagnola riguardo alla carenza di materiali necessari per soddisfare questi obiettivi aggiunge ulteriori dubbi sulla fattibilità di queste politiche. La dipendenza dalla Cina per questi materiali e il conseguente aumento dei costi sono aspetti che non possono essere sottovalutati.
La Direttiva UE sulle fonti rinnovabili, nella sua attuale forma, sembra essere un manifesto di autolesionismo che richiede una revisione critica e una maggiore considerazione delle realtà sul campo.