Che la società islamica sia una società maschilista di stampo patriarcale in cui la violenza morale (e anche fisica) specie sulle donne predomina ed è pure, in alcuni casi, legalizzata, non è una bestialità, ma una realtà percepibile. Percepibile in un mondo ove un principio religioso diviene principio di diritto che, pur sacralizzato nel Corano, fonda la società islamica nella completa sottomissione della donna all’uomo in nome di un credo religioso elevato a regola di diritto, che per quella tipologia culturale diviene giustizia assoluta.
Esistono casi di poligamia e di totale asservimento delle donne agli uomini, ove la sottomissione viene oggettivizzata, quasi un diritto di proprietà dell’uomo sulla donna e sulla famiglia da parte del paterfamilias, attraverso accentuazioni più o meno profonde da Stato a Stato in relazione al livello di fondamentalismo religioso. Dall’altro lato, la società occidentale è fondata sulla parità assoluta, nel rispetto della libertà della donna.
La nostra analisi occidentale è ovvia, non si sta ad analizzare cosa sua più o meno giusto, quale modello. Non è lo scopo di questo lavoro, sarebbe troppo ovvio. Tuttavia, non bisogna tanto sforzarsi di trovare un giusto equilibrio, che non si potrebbe mai ricercare, né trovare se non utopisticamente, poiché sarebbe impossibile oltre che inammissibile solo pensare di trovare una soluzione di compromesso dei due mondi non solo diversi, ma totalmente opposti. Si tratta di due posizioni diametralmente antistanti, impossibili da assimilare in un solo punto di incontro. Due culture che si scontrano.
Ciò premesso, posto che la libertà è un bene insopprimibile per tutti, sarebbe necessario per chi ha in mente una idea non vaga di libertà, dare la giusta importanza ai veri valori fondanti della società, in particolare alla famiglia, valorizzando il giusto ruolo sia dell’uomo che della donna, che non è limitato solamente all’ essere uomini, donne oppure omosessuali o eterosessuali, ma l’essere genitori anche in una famiglia di fatto.
Meno di una settimana fa un giovane, in provincia di Messina, ha ucciso il padre con 23 coltellate. Si trattava, a quanto pare, di un giovane con problemi mentali e turbe della psiche, un fenomeno sempre più frequente in questa era moderna, quasi a segnare il termometro del disagio giovanile. Tuttavia le violenze domestiche appaiono sempre più frequenti anche in situazioni pisichiche apparentemente normali, e nei contesti sociali più svariati. Infanticidi in famiglia o femminicidi, sono sempre più frequenti nel mondo occidentale, nonostante l’apparente libertà di facciata. È venuto a crollare l’elemento del rispetto dell’altro.
Un fatto del genere difficilmente accadrebbe in altri contesti. Non si tratta di valutare, quindi, solo le libertà individuali della persona, sia essa uomo o donna, ma l’essenza del gruppo donna o uomo, a prescindere, che uomini e donne lavorino per risolvere i problemi della famiglia, le cui soluzioni non sono legate solo al danaro, almeno non dovrebbero essere legate al corrispettivo del lavoro come strumento sinallagmatico del benessere, ma anche con l’essenza , la qualità del dialogo educativo nel rapporto con i figli. Invero, soventemente, le moderne società occidentali dimenticano che vi è un lavoro molto più importante che viene retribuito dall’ essenza dell’amore vicendevole e che spesso si trascura al fine di produrre il Dio danaro: si tratta del ruolo di genitore. I figli, non sono un momento di relax, non rappresentano il tempo libero ove, fare le mamme o i papà, sia un gioco, poiché assillati dalla voglia di produrre danaro e si riduca nel ruolo puramente consumistico di produttori e consumatori ( si lavora dedicando il tempo per produrre danaro che serve ad apparire anche per i figli).
Non bisogna zittire i lamenti dei figli con il danaro, un motorino o uno smartphone. Bisogna creare con i figli la giusta empatia. Quanti dialoghi a tavola tra genitori e figli ha riaperto lo smart working? Bisogna essere padri spirituali e confessori dei propri figli. È un ruolo difficile, ma indispensabile per regalare loro l’essenza dell’esistere. Che se ne farebbero del danaro se fossero scapestrati o peggio, delinquenti e inumani? Fare le mamme o i papà è una responsabilità sociale, oltre che familiare. I nostri figli saranno la società del domani, rappresenteranno ciò che hanno appreso in età evolutiva e non bisogna lasciarli soli in balia di loro stessi, dello smartphone o del branco. Non bisogna sperare nella buona sorte, ma parlare con loro, ascoltarli, seguirli, capirli, assolverli in un dialogo costruttivo. I figli in età adolescenziale hanno bisogno di veri punti di riferimento, come i nostri genitori con noi e i nostri nonni con loro, in quella società meno consumistica, di qualche quarantennio fa, che era basata sulla semplicità dei rapporti umani, in cui non esisteva lo smartphone, ma il telefono a gettoni e al massimo la TV serale che riuniva le famiglie davanti allo schermo. Il vero decadentismo della società è nato dalla crisi dei valori contestualizzati in un modello di consumismo sfrenato, cui ha fatto seguito la crisi della istituzione di base, fondata sul dialogo, di ogni società: la famiglia!
Annientata proprio dalla bramosia lussuriosa, di questo modello distruttivo. In verità, non è la condizione della donna occidentale o orientale l’aspetto più problematico della società moderna, non i rapporti uomo/donna secondo una scala di valori gerarchica o paritaria, tipici di una società maschilista o femminista, ma la disgregazione dei valori sociali che ha lasciato spazio alla società dei consumi a discapito della genitorialità e del ruolo di procreatori. L’essenza genitoriale è stata sostituita dal consumismo sfrenato per creare un modello diseducativo , basato su una vera e propria assenza di ruoli che fa comodo ( spesso, quando si torna dal lavoro, stanchi e stressati, meglio dare uno smartphone in mano ai bambini, anziché sforzare ancora la mente e stare a chiaccherare con loro).
Dall’altro lato del globo, nelle società musulmane, l’eccessivo rigore della condizione di vita cui è sottoposta la donna, perno del rapporto con i figli, crea una società rigida, una famiglia creata non dalla libertà di amore (o di amare) ma dalle limitazioni di essa e dalla presenza educatrice del ruolo preponderante della madre. I matrimoni voluti dal padre, che decide anche chi deve essere il marito della propria figlia, costretta ad amare l’uomo prescelto dal padre (o a fingere di amarlo), in cui il rispetto del ruolo dell’uomo è prevaricazione e sottomissione della donna ed in cui la famiglia esiste solo se vi è il deus per eccellenza, quel pater familias che può persino decidere la vita e la morte dei suoi familiari, condannarli a morte o autorizzarne l’esecuzione in determinate circostanze, emblematiche, come il caso di Sakineh (pensate ad un padre che può autorizzare l’uccisione della propria figlia perchè adultera, una vera mostruosità in occidente).
Bene, ecco il divario di due mondi, un muro insormontabile, indistruttibile, irremovibile. Oriente e occidente due mondi che si tollerano ma che difficilmente potranno convivere se non si abbatte il muro dell’intolleranza, se non venga accettato un confine di “contaminazione ” in cui bene e male sono punti di vista da riequilibrare per il bene dell’umanità e non sono demarcati da una linea netta. È necessario ripensare affinché non accada mai più un caso come quello dell’infanticidio di Rosolini o il parricidio di Messina, né che accada un nuovo Sakineh. Nessun sovranista penserà mai che in un mondo glibale niente è più giusto della libertà. Un mondo ove non importi essere musulmani, cristiani, buddisti o scintoisti, ma in cui si possa essere imprenditori, professionisti, operai o artigiani, pur essendo musulmani, cristiani o altro, senza paura, ma secondo il rispetto della libertà, secondo quel valore assoluto del “lasseiz faire”, che non è semplicemente tollerare, ma rispettare il diverso.