Il populismo che avanza, e che andando oltre le pantomime elettorali mira a una riunificazione del blocco sinistro, ha il volto di Partito democratico e Movimento cinque stelle, nelle persone di Enrico Letta e Giuseppe Conte, impegnati a svilire la democrazia parlamentare e a sottoscrivere un patto di ferro che ha tenuto fuori il Terzo Polo dall’elezione dei vice presidenti di Camera e Senato e degli organi parlamentari.
In una democrazia liberale, dove i diritti dei gruppi di minoranza sono garantiti, l’arroganza populista mostrata da Conte e M5S è degna del miglior Vladimir Putin, di cui soprattutto il leader pentastellato è profondo ammiratore. Da sempre, infatti, due dei quattro vice presidenti delle Camere sono sempre stati esponenti dell’opposizione a prescindere di chi governa. La spartizione effettuata da Pd e M5S, mirata a tagliar fuori esponenti della minoranza in quota Azione e Italia Viva, a cui sarebbe spettata anche una minima rappresentanza, è pertanto il segnale di una cultura assolutista e di logiche spartitorie di bassa lega che, se non sorprendono da parte dei grillini, indignano da parte di una forza politica come il Pd che osa definirsi democratica ma di fatto esclude membri di altri partiti dalla gestione dei lavori parlamentari.
E non è questione di grandi e piccoli numeri, perché la rappresentanza nelle istituzioni democratiche come l’ufficio di presidenza non può riguardare il mero peso numerico dei gruppi parlamentari. Ma a questo punto è anche chiara la provenienza – non certo scrivibile al Terzo Polo – dei voti che hanno consentito l’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato.