Il caso Ronzulli, ultimo di una lunga serie, è l’ennesimo esempio di come la politica italiana e i partiti che la animano siano ormai ridotti solo alla squallida pantomima di personaggi in cerca d’autore che circondano i presunti leader come ammiccanti yes man o yes woman, ma incapaci di andare oltre slogan e semplificazioni della realtà. Personaggi a cui, come nel caso Ronzulli, spesso sono appesi i destini di un Paese.
Nessuna gerarchia valoriale, scelte impantanate in un nulla indistinto. Manca completamente un élite culturale che sia responsabile della conoscenza e della conservazione delle idee e dei valori più importanti, dei classici, del significato delle parole, della nobiltà dei nostri spiriti. Che sia anche avanguardia in grado di analizzare futuri possibili e di costruirne di nuovi.
E’ soprattutto a destra, da destra, che si sente più questa mancanza, seppur si tratti di un morbo assolutamente trasversale. Un’assenza che anticipa la notte della democrazia, perché quando le élite dimenticano la loro essenza aristocratica di guida di una comunità in cammino, scegliendo una qualsiasi scorciatoia populista, il pericolo totalitario è dietro l’angolo: niente più limiti, morale, cultura, civiltà, gerarchia, etica, solo la forsennata rincorsa di un consenso malato di presentismo, di un nichilismo senza passato e senza futuro.
Può, dunque, sopravvivere una comunità, una società che rifiuta l’esistenza della classe dirigente, di statisti? Che rifiuta l’idea stessa di élite? Una società senza più élite, senza governo, senza politica, è una società che non può funzionare perché non riesce a scegliere tra il giusto e lo sbagliato, tra il bene e il male, tra il buono e il cattivo. Una società che non ha più la visione della democrazia dalla quale nessuno può prescindere per cercare di difendere l’idea stessa della buona politica: non stare nel gregge ma uscire dal gregge, non inseguirlo ma indicargli la strada. Essere élite, in fondo, è tutto in questa difficilissima sfida.
Oggi l’Italia ha bisogno non di una élite politica che si impadronisca del comando e basta, ma di una classe politica alta e capace di tracciare il cammino di un Paese in difficoltà, tenendo sempre a mente l’obiettivo principale: l’interesse pubblico. L’esatto contrario, insomma, dei casi Ronzulli, che evidenziano invece come attorno a leader poco autorevoli ma narcisisti si insedino nidiate di personaggi interessati al proprio tornaconto. Senza visione, senza strategia, senza competenza. La morte del merito, aggravata da una legge elettorale che non premia i migliori ma favorisce i cerchi magici.
I partiti non hanno più capacità di selezionare elementi esperti e competenti. L’abiura della politica e il ricorso ai tecnici – di cui approfitterà anche Giorgia Meloni – parlano chiaro.