Costretti alla resa pure se avrebbero dato la vita pur di non arrendersi. Torturati, maltrattati, rinchiusi nei campi di concentramento dei russi. Gli eroi di Mariupol, per settimane barricati dentro le acciaierie Azovstal a resistere all’attacco russo prima di essere catturati, sono stati liberati ieri dopo tre mesi di prigionia. Grazie anche alla mediazione di Turchia e Arabia Saudita.
Sono 215 i combattenti del battaglione Azov tornati in patria, ad eccezione dei cinque vertici del reggimento, che dovranno restare in Turchia fino al termine della guerra, secondo gli accordi raggiunti tra le parti per la liberazione e lo scambio dei prigionieri. “Sono stati torturati e lo stesso succede a chi è ancora prigioniero, vengono interrogati con violenza, ce l’hanno raccontato i nostri ragazzi – dice su Il Messaggero il capo dell’intelligence ucraina Kirill Budanov -. Ognuno è in uno stato diverso. Ci sono persone che sono fisicamente più o meno in uno stato normale, a eccezione della malnutrizione cronica. Alcuni sono stati sottoposti a torture molto crudeli”.
I 215 prigionieri sono stati scambiati nella regione di Cherniv. Alcuni soldati hanno baciato la terra ucraina una volta rientrati nei confini. In cambio ai russi sono stati restituiti 50 soldati e l’oligarca filo Mosca Medvedchuk. “Noi non abbandoniamo la nostra gente” dice il presidente Zelensky, mentre in Ucraina prevale il sentimento di gioia e di appartenenza patriottica per il rientro degli eroi di Mariupol. Che però in questi mesi hanno affrontato prove molto più dure di quelle vissute rinchiusi nelle a acciaierie. I russi li hanno costretti a condizioni di vita al limite, sottoponendoli a torture inumane, tanto che molti di loro hanno dovuto essere ricoverati in ospedale, in barba ai dispacci dei regime del Cremlino riportanti rassicurazioni sulle condizioni degli Azov. Se in Ucraina il loro ritorno è slautato come una grande conquista, in Russia l’opinione pubblica più estrema, più fedele al regime di Putin scrive soprattutto sui social che “questo è un sabotaggio, qualcuno ci spieghi che senso ha liberare i vertici dell’Azov”.
Tra i militari liberati ci sono anche diverse donne. Come Mariana Mamonova, 30 anni, medico militare, incinta di 9 mesi: metterà al mondo il suo bambino in terra ucraina e non in un campo di prigionia russo. O come Anastasia Chernenka e Yana Shumovetska, anche loro catturate all’Azovstal, anche loro incinte. O come la giovane paramedico della Guardia nazionale ucraina, soprannominata “l’uccellino”: il suo video mentre nei sotterranei delle acciaierie, durante l’estenuante e drammatico assedio, canta una canzone per farsi forza e incoraggiare i soldati ucraini, ha fatto il giro del mondo.
Dei combattenti Azov, tra i militari liberati c’è il loro comandante Denys Prokopenko, che si è rivolto a Zelensky: “Slava Ukraini. Signor presidente, stiamo bene, le nostre condizioni di salute sono soddisfacenti. Grazie a tutta la squadra”. Insieme a lui sono stati liberti e andranno in Turchia anche il vicecomandante Azov, Statoslav Palamar, il comandante ad interim della trentaseiesima brigata dei Marines ucraini Serhiy Vlynskyi, il comandante della dodicesima brigata della Guardia nazionale, Denys Shleha e il comandante della compagnia che dirigeva la difesa delle acciaierie, Oleh Khomenko. Nello scambio, anche cinque britannici, due americani, un marocchino e uno svedese, che andranno direttamente in Arabia Saudita.
MOGLI, MADRI E FIDANZATE Racconta Kateryna Prokopenko, moglie del comandante dell’Azov:
“Sono tutti esausti e provati, ma siamo contenti di rivederli vivi – dice Kateryna Prokopenko, moglie del comandante dell’Azov -. Però so che questa non è la fine della storia, ci sono ancora molti prigionieri. Le altre mogli dei combattenti, come le mie amiche Julia, Olga e altre donne meravigliose, purtroppo non vedranno ancora i propri mariti. Insieme continueremo la lotta». E la madre di un altro combattente liberato, Ilya Samoilenko,
“Provo sentimenti contrastanti, ora dobbiamo riportare a casa tutti” dice poi Ilya Samoilenko, madre di un altro soldato liberato. Ora si tratta per riportare a casa anche gli altri prigionieri ancora in mano ai carcerieri russi.