La complessa identità culturale italo-americana è un mistero anche per gli stessi italiani che vivono, magari da anni, oltreoceano. Per la maggioranza di quelli residenti in Italia, essa viene addirittura vista con disprezzo, come un’inaccettabile corruzione della propria cultura. Non deve dunque sorprendere il silenzio di questi mesi delle istituzioni politiche del nostro paese, ad eccezione forse di qualche iniziativa individuale, di fronte al processo, che ormai e’ in corso da anni, di rimozione di Cristoforo Colombo dalla storia americana.
Nemmeno a Salvini, oggi alfiere del nazionalismo e dal cristianesimo militante, interessa prendere le difese dell’esploratore genovese e ad esempio chiedere alle autorità americane che le nostre comunità siano coinvolte nella decisione. E forse non servirebbe nemmeno a nulla, diciamolo senza ipocrisia, in un dibattito che vede i democratici americani sempre di più appiattiti sulle posizioni dei manifestanti che si battono per rimuovere anche il più piccolo accenno a Colombo, e non solo lui, dalla storia patria. La ragione, più che ideologica, sta nella speranza di accaparrarsi qualche voto in più’ nelle ormai prossime elezioni.
Tornando all’Italia, l’inazione relativamente al dossier Colombo non può essere vista che come l’ennesima riprova di quanto la Farnesina, come siamo ormai abituati a vedere anche in contesti ben più importanti di una statua o una parata, abbia fallito nella sua missione di perseguire gli interessi dell’Italia e degli italiani. Magari la ragione è da ricercarsi nella tradizionale ostilità dei 5 stelle verso le comunità italiane all’estero. Gli espatriati italiani non sono mai stati integrati pienamente nella vita del movimento politico ne valorizzati. Al contrario, sono stati spesso accusati di tradimento elettorale. In passato, infatti, il movimento politico è arrivato anche a proporre di togliere il voto a chi, italiano per nascita o naturalizzazione, risiede e lavora all’estero e paga ancora le tasse all’Italia contribuendo al prestigio internazionale del paese.
Ma la storia della Repubblica ci ha insegnato che non è solo una questione di chi siede, temporaneamente, tra i banchi della maggioranza. Degli Affari Esteri, e dovremmo anche includere la Difesa nella discussione, agli italiani – e dunque ai politici – non è mai importato realmente un fico secco. Le ragioni sono storiche. In un paese nato nel segno dell’unificazione forzata di realtà statuali indipendenti, il cui ricordo e’ ancora vivo nella popolazione, passando da una guerra disastrosa ad un guerra civile lacerante e infine all’esperienza della sovranità limitata e della Guerra Fredda, l’attenzione si e’ rivolta quasi unicamente agli affari interni e non si è mai estensa, più di tanto, alle relazioni internazionali.
Nell’Italia repubblicana è da sempre prevalsa la scelta di mettere gli affari interni al centro dei processi decisionali, a discapito di quello che, per la gran parte delle potenze mondiali, è il ruolo fondamentale delle politiche internazionali. Se nella Prima Repubblica, grazie a ministri capaci o comunque scaltri, l’Italia aveva comunque un ruolo di media potenza, magari alternando la subalternità agli Stati Uniti con una postura eccessivamente filo-araba, questo processo di isolamento si è acuito a partire dalla cosiddetta Seconda Repubblica fino ai giorni nostri.
E’ vero anche che alla Farnesina si sono insediate negli anni figure di pregio e incontestabile capacita’. E qualcuno in passato aveva anche provato a migliorare la situazione, ma dalla fine degli anni ’90, quando l’Italia ha perso il suo ruolo di ago della bilancia in Europa e nel Mediterraneo, non è più esistita una strategia coerente che non sia unicamente dettata dagli umori dei partiti di maggioranza o dal protagonismo di alcuni Presidenti del Consiglio. La dice lunga il fatto stesso che nel primo Governo Conte fosse Matteo Salvini, il Ministro dell’Interno, a dettare la linea politica impostata, è il caso di ripeterlo, sull’odio per lo straniero, sul rifiuto a priori di una soluzione negoziale e l’inazione a fini elettorali, in agende importanti quali l’immigrazione, la Libia, l’Egitto, la Russia, la Cina e l’Unione Europea, ecc. senza che gli oggi defenestrati, forse per eccesso di competenze, Moavero e Trenta (Difesa) potessero fare molto per fermarne i deliri pseudo-sovranisti.
La linea politica, si fa per dire, era quella chiudersi su se stessi e, quando servisse, lamentarsi che gli altri paesi sono brutti e cattivi cosi’ da guadagnare anche qualche voto in più. Ma la ciliegina sulla torta l’ha messa la nomina di Di Maio al dicastero degli Esteri: un esponente politico con tanta buona volontà e paradossalmente anche molto attivo, ma senza nessuna preparazione formale né esperienza pratica nelle relazioni internazionali, che ha voluto il ministero per non si sa bene quali ragioni, e per di più si e’ attorniato di personaggi a dir poco bizzarri come l’onnipresente Rocco Casalino e Manlio di Stefano, l’ingegnere informatico che nega l’esistenza di un problema legato al terrorismo islamista.
Ad eccezione di pochi sottosegretari competenti, sembra che alla Farnesina si sia deciso che i profili professionali nelle relazioni internazionali, politica estera e diplomatica non siano più un requisito essenziale. Come a dire che con Di Maio, la persona forse meno adatta a ricoprire il ruolo di ministro degli esteri nell’intera storia del nostro paese ma che comunque è più la continuazione di una lunga tradizione di inconsistenza che il vero colpevole dell’attuale situazione, l’Italia si è finalmente arresa all’evidenza di non contare nulla. Perché prendersi in giro? Da anni non prendiamo più parte ai dibattiti importanti!
Non contiamo più nulla in Libia, e in genere nel mediterraneo, siamo inesistenti in Africa subsahariana, dove magari ci limitiamo a servire gli interessi francesi e americani, siamo visti quasi con fastidio in medio-oriente dall’Egitto a Israele e all’Iran. Non esistiamo nemmeno in Asia orientale ma, più che altro, siamo diventati completamente irrilevanti in Europa, dove più che lamentarci di quanto gli altri paesi siano egoisti non sappiamo fare. Di Italia non si parla quasi mai nella stampa internazionale, se non per commentare sui suoi fallimenti, come nel caso COVID-19, o parlare di pasta e macchine di lusso (il tanto osannato “Made in Italy” che sembra essere diventato l’unica strada di salvezza economica del paese), e non siamo mai invitati nelle riunioni, tavoli o troike che contano.
E francamente e’ giusto cosi’! Nonostante le nostre potenzialità e le capacità militari, abbiamo dimostrato un livello imbarazzante di inazione nella maggior parte dei dossier che contano, alle volte dovuta alla sostanziale incompetenza della politica, e un mancanza di coraggio dettata dall’assenza di una visione complessiva dei problemi globali e dell’interesse nazionale ed europeo. In aggiunta, la nostra rete consolare è sottofinanziata, le rappresentanze delle comunità di italiani all’estero non sono supportate adeguatamente, lo strumento militare continuamente compromesso da slanci di “poraccismo” e non abbiamo nessuno strumento diplomatico realmente incisivo.
Una situazione complessiva che ci sta condannando irreparabilmente all’oblio dell’irrilevanza e alla quale l’attuale Ministro non sembra riesca, o voglia, porre rimedio. Di Maio avrà sicuramente altre doti in grado di farlo eccellere in diversi incarichi di governo, o di “cancellare la povertà”, ma agli Esteri per ora non merita francamente nemmeno la sufficienza, con buona pace dei fan osannanti, della piattaforma Rousseau e della democrazia online. Ma cerchiamo di essere onesti fino in fondo! La colpa non e’ di Di Maio, ma dei molti italiani che considerando accettabile che sia lui a ricoprire l’incarico alla Farnesina.
L’Italia oggi conta poco o nulla per colpa degli italiani che si disinteressano del ruolo internazionale del loro paese. E continuerà a non contare nulla fino a che gli italiani non si renderanno conto di quanto, in un mondo sempre più globale e interconnesso, la politica estera sia fondamentale per il benessere del paese, e che il Ministero degli Esteri, e per ovvie ragioni quello della Difesa, devono essere oggi posti al centro dell’attività di governo ed essere affidati a personalità incisive e di indubbia competenza. Il paese deve iniziare a guardare al di fuori dei suoi confini e perseguire interessi di lungo periodo che travalicano i limitati interessi della maggioranza del momento. Concludendo, per tornare a Cristoforo Colombo, è paradossale che sia proprio lui, come ai tempi della spedizione che porto’ alla nascita dell’America, il simbolo di un’Italia priva di consapevolezza dei propri interessi e per questo grande assente dalle questioni che stanno, ancora una volta, cambiando il mondo.