Ieri abbiamo registrato il successo di Calenda all’”applausometro” del Forum Ambrosetti; il Terzo polo evidentemente fa paura – se da ieri Enrico Letta ha concentrato la campagna elettorale del PD contro “la strana coppia” Renzi-Calenda, abbandonando la Meloni al proprio destino di trionfatrice delle elezioni (sondaggi docet). Questa nuova offensiva antiterzopolista si avvale però di strumenti che appaiono controproducenti. Da un lato il Terzo polo é in sostanza accusato di… esistere: questione di metodo. Incapace di reggere il confronto nel merito, Letta smodatamente accusa Azione-IV-BD & C. di voler distruggere il PD. Ma l’esistenza di questa nuova alleanza è proprio la conseguenza dell’errore strategico del Partito Democratico, ovvero l’aver costruito una coalizione massimalista, scegliendo Fratoiannovich e i verdi di Bonelli (ricordate la battuta di Willy Brandt? “I verdi sono come i pomodori: se li apri sono rossi…”) come alleati per coprirsi a sinistra, escludendo “apprescindere” IV e costringendo così Calenda alla rottura.
Il PD si é distrutto da solo, chiudendosi in una riserva indiana minoritaria che non parla al paese, ma a tutte le variegate minoranze radicali che escludono dal proprio orizzonte (visione a “tunnel”) il Governo del paese: i famosi “perdenti di successo” di Bertinottiana memoria, forieri della coazione a ripetere (i propri errori). Infatti, il secondo fronte della battaglia lettiana è chiaramente quello di spostare sempre più a sinistra la politica, per contendere ai #M5S la presunta rappresentanza della sinistra populista e melenchoniana – oserei dire melanconica, parola di cui il “compagno romagnolo” di Maurizio Ferrini avrebbe ricordato con terrore il significato: “stato psichico caratterizzato da un’alterazione patologica del tono dell’umore, con un’immotivata tristezza, talora accompagnata da ansia, e con inibizione di tutta la vita intellettuale”.
Si spiegano così l’improvviso attacco via tweet del segretario PD al jobs act, a Blair e alla terza via: evidentemente, Letta vuole diventare il Corbyn italiano (sic!) e raccattare tutto ciò che sta alla propria sinistra. D’altronde “Nessun nemico a sinistra” è da decenni uno degli slogan caratteristici di certi demagoghi massimalisti. La totale disfatta dell’ex-leader britannico e del suo laburismo populista dovrebbe accendere tanti sospetti nei dirigenti PD. Avendo però scelto di condurre la battaglia contro il Terzo Polo con la logica devastante della dialettica “Chi non è con me è contro di me”, non riescono a vedere che questa scelta tende ad avere un solo esito: una sconfitta che rischia di prospettarsi più grave di ogni previsione…