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Letta il camaleonte dell’ostruzionismo condannato ad una certa sconfitta

Enrico Letta in cerca degli occhi della tigre e senza nemmeno un allenatore del calibro d Apollo Creed nel famoso film Rocky III. Li troverà dentro se stesso? Per ora i bookmakers lo darebbero perdente, visto che dalla caduta del Governo Draghi, a Enrico non gliene sta andando bene una. Non è fortunato c’è da ammetterlo, ma ci mette pure del suo. Come è possibile, infatti, immaginare una convivenza con Calenda in nome del governo e contemporaneamente una con Fratoianni in nome del salvataggio della Costituzione (come se qualcuno vi attentasse)? Come è possibile, cioè pretendere di essere partito di governo, ma assecondare la retorica stantia da Comitato di Liberazione Nazionale, stigmatizzata pure da Calenda? Occorre far di più e occorre fa meglio.

Forse sarebbe l’ora di chiudere l’album dei ricordi dei bei tempi che furono e concentrarsi su un presente complicato le cui sfide non possono essere affrontate esclusivamente con la politica del “tutti contro”. Questi sono errori, e adesso Letta li sta pagando. D’altra parte, Carlo Calenda era stato chiaro nel porre come tratti irrinunciabili dell’alleanza la cosiddetta Agenda Draghi e l’atlantismo senza se e senza ma. Letta, consapevole di quali erano le condizioni, ha sottoscritto un patto con Azione ma poi è andato subito a cercare di coprire l’ala sinistra, i cui punti programmatici erano però del tutto incompatibili con quelli del partito dell’ex ministro. E lui ha sottoscritto lo stesso.

Più che gli occhi della tigre, gli occhi di Letta sembravano quelli del camaleonte: indipendenti l’uno da l’altro e liberi di guardare tanto a destra quanto a sinistra. Ma la politica è un’altra cosa, anche in quella di palazzo. E tenere insieme gli opposti è impresa improba persino quando l’unico obiettivo non è quello di governare ma quello di fare tenace ostruzionismo. Ma come spesso accade, il catenaccio all’italiana per evitare di prendere il gol, diventa l’anticamera della goleada avversaria. E adesso Meloni & soci, nonostante l’inadeguatezza della coalizione di centrodestra, vivono di rendita sugli errori altrui.

Letta deve dimostrare di essere un leader. Deve fare uno scatto in avanti che è al tempo stesso un colpo di reni rispetto alla sua stessa storia politica. Non basta essere il trait d’union di opposte correnti interne per essere un leader riconoscibile e autorevole. Enrico Letta, cioè deve smarcarsi da quel complesso del “vice” che caratterizzato la sua esperienza politica sin qui e deve farlo con coraggio e con determinazione, pena non solo la sconfitta (ormai certa), ma l’estinzione. Il paradosso del centrista Enrico è che oggi deve fare tutto ciò, guardando a sinistra che non è proprio il suo campo per contendere al Movimento Cinque Stelle quella parte di elettorato. D’altra parte non ha scelta: dopo la decisone di Carlo Calenda di puntare sull’elettorato moderato, magari deluso da Forza Italia, a Letta non rimane che concentrarsi sull’elettorato tradizionale di sinistra potendo contare senz’altro sulla maggiore esperienza e capacità rispetto al dilettantismo di Giuseppe Conte, che si permette pure di far lo snob dopo esser stato il primo motore della tragicomica sciagura che si è abbattuta sul paese con la caduta del Governo Draghi.

La sfida, ripetiamo, è improba, soprattutto con una destra che seduta sulle rive del Gange non aspetta altro che il transito del cadavere avversario. Ma forse Letta potrebbe cogliere l’occasione e smettere per una buona volta di fare il miglior alleato di Giorgia Meloni concentrandosi su una campagna elettorale fondata sui contenuti e sui temi. A ben vedere è un momento storico per il Partito democratico che ha finalmente l’occasione di abbandonare quell’atteggiamento arrogante e saccente per sporcarsi le mani con “i problemi degli italiani” e magari trasformarsi in una moderna socialdemocrazia che escluda le ali estreme e massimaliste in nome di soluzioni pratiche e concrete. Non basta puntare a essere il primo partitolo italiano, se di quel primato non si sa cosa farne e come metterlo a disposizione di una politica di contenuti che tagli finalmente cordoni ombelicali ideologici che niente hanno più a che vedere con la modernità. Ancor di più dopo questi due anni. Il PD ha l’occasione di superare l’esame di maturità seppur a prezzo di una sonora prevedibile batosta.

Il paese ne ha bisogno tanto quanto ha bisogno di una destra normale e non populista. Sarà in grado di capirlo, il caro Enrico?