Alla fine è prevalsa la linea dell’argine comune contro i sovranisti, anche a costo di rinunciare ad una maggiore autonomia e ad un certamente più largo consenso. La scelta dell’accordo che Carlo Calenda ha siglato con il Partito democratico di Enrico Letta va considerata in tal senso, soprattutto all’interno dell’attuale sistema elettorale, e lo spiega bene oggi Antonio Polito sul Corriere della Sera. “La logica del Rosatellum è spietata: costringe i diversi a stare insieme per non darla vinta agli altri – scrive il politologo -. Questo argomento, usato sia da Letta sia da Bonino, ha convinto alla fine anche il recalcitrante Calenda: lo stigma di colui che ‘consegna il Paese alle destre’ lo avrebbe marchiato a vita, un po’ come successe con Bertinotti quando fece cadere il governo Prodi. Alleandosi invece con il Pd per impedire la vittoria degli ‘amici di Orbán e Putin’, il giovane leader di Azione depotenzia certamente la sua attrattiva verso i voti in uscita da Forza Italia, che pure aveva cercato con la candidatura di due ministre ex berlusconiane; e rinuncia alla possibilità di presentarsi come il leader di una nuova Cosa di centro, autonoma da tutti i poli, che lo stava premiando nei sondaggi”.
L’accordo, dunque, va visto come un tentativo di riequilibrare la competizione elettorale, fortemente sbilanciata a destra. A costo di rinunciare a qualcosa (anzi, a molto!) di sé. “Sia Calenda sia Letta avrebbero potuto ottenere più consensi per le loro liste nel proporzionale se fossero andati separati: Letta costruendo la sua gara sull’antagonista Meloni, Calenda presentandosi come l’unico erede dell’agenda Draghi – scrive ancora Polito -. Ma sarebbe stata una logica proporzionale. Mentre la legge ferrea del Rosatellum, con la sua forte quota maggioritaria, ha finito con il modellare l’offerta politica. In mezzo a tanta confusione, un vantaggio per l’elettorato c’è: la semplificazione del mercato elettorale. Ora i cittadini avranno una scelta abbastanza chiara tra un polo di destracentro a trazione Meloni, uno di centro-e-sinistra a trazione Letta-Calenda, e uno populista a guida Conte. Tutte e tre le opzioni presentano incognite e rischi. Ma, come sempre in democrazia, si tratta di scegliere la meno peggiore”. Un’analisi molto realista, che bypassa le certamente ampie distanze esistenti tra Azione, Pd, +Europa e la sinistra di Fratoianni, Di Maio e Bonelli, in nome della costruzione di un polo moderato, europeista, riformista e alternativo al sovranismo filo putiniano incarnato dal centrodestra.
Sul piano contenutistico e programmatico, va detto che è Calenda ad averla spuntata, avendo ottenuto l’ok di Letta su rigassificatori, riforma del reddito di cittadinanza e del Superbonus. E avendo incassato anche il 30% dei seggi e l’impegno a non candidare alcun leader di partito ed ex FI ed ex M5S nei collegi uninominali, ma solo nel proporzionale. “Lo abbiamo fatto per l’Italia – ha detto Letta -. Alleandoci con Calenda rompiamo la fantasia del terzo polo, ma soprattutto la sfida resta ‘noi contro loro’. Destra contro sinistra liberale. E’un sacrificio necessario”. Anche se a sinistra ora ricucire diventa davvero difficile. Ma senza una compattezza, variegata ma “altra”, l’operazione di mettere dei margini all’espansione del fronte sovranista sarà impresa ardua, nonostante accordi e mediazioni.