L’uccisione di Alika Ogorchukwu a Civitanova Marche è un episodio che ci impone il massimo del rispetto umano, che passa anche da una riflessione seria su quanto accaduto.
Il rischio è che adesso partano le sirene del razzismo, che ben suonerebbero anche all’interno del clima elettorale, ma che ci porterebbero distanti dalla verità, oltre che essere mortificanti anche e soprattutto per la memoria di Alika.
Qui siamo di fronte a due problemi enormi, che non sono comparsi ieri per la prima volta.
Il primo è l’aumento incontrollato di un clima di violenza che la pandemia, con i suoi lockdown, le sue prospettive incerte, i suoi impliciti inviti a considerare “l’altro” come un potenziale pericolo, ha enormemente amplificato, ma che già era evidente da un pezzo. Oggi è una barbara uccisione in strada, ieri erano le molestie, le maxi risse tra bande giovanili, la discoteca che chiude perché non si riesce a far rispettare elementari norme di civiltà.
Il secondo è l’indifferenza diffusa di fronte a tale violenza, che nasconde non solo la paura, ma lo sfrenato individualismo, la progressiva rottura dei legami sociali, la ricerca del proprio esclusivo benessere. Il cellulare è ormai lo scudo protettivo che innalziamo per tenere gli altri a distanza, vuoi per fare foto anziché intervenire, vuoi per isolarci dal tessuto sociale a noi vicino per immergerci in uno lontano e spesso finto, alla ricerca continua dell’esclusivo contatto solo con ciò che ci trasmette piacere.
Sono due aspetti dello stesso problema, che fanno pensare che siamo di fronte all’urgenza di recuperare valori prima ancora che punti di PIL, relazioni prima che sconti carburante, sentimenti prima che tagli agli sprechi; perché i secondi sono solo una diretta conseguenza dei primi. Ce la faremo? E, soprattutto, sentiamo il bisogno di farlo? Già contenere i messaggi opposti, giunti a questo punto, sarebbe tanta roba.