Se fossimo in un romanzo storico e distopico, le giornate di ieri e di oggi sarebbero le Idi di luglio. Anno 2022 d.C., il premier Mario Draghi giunge in Senato e, dopo un mirabile discorso da statista che richiama i senatori alla responsabilità e all’amor patrio, viene attorniato da Silvio Berlusconi (alias Bruto), Matteo Salvini (alias Cassio) e Giuseppe Conte (alias Publio Casca). I congiurati proditoriamente sferrano le loro pugnalate fatali, uccidendo politicamente non solo il presidente del Consiglio, ma l’Italia intera e assumendosi una responsabilità enorme agli occhi del paese e della storia. Lo fanno gongolando, ebbri della loro folle protervia, con quella prosopopea di aver salvato la res publica. La verità, molto più banale è che di fronte a Mario Draghi, gli altri leader erano, sono e rimarranno dei parvenu. Storie di ego ferito, di rabbie covate, di frustrazioni e piccolezze umane che di politico non hanno alcunché: queste le motivazioni della crisi, il resto è fuffa!
Ma come nel 44 a.C. i congiurati a niente miravano se non alla loro fama personale oscurata da Caio Giulio Cesare, così oggi, gli autori del draghicidio a niente mirano se non alle loro pance elettorali sempre grasse e pregne di voti presunti e di numeri virtuali. In attesa di passare all’incasso, si accoltella impunemente la nazione: a questo si è ridotta la classe politica italiana intrisa di populismo una tanto al chilo, che ha ridotto la politica all’esaltazione dell’eterno presente in vista delle prossime elezioni e in barba al futuro.
Se il Movimento cinque stelle con la follia della non fiducia ha aperto questa crisi, il cosiddetto centrodestra di governo ne ha tratto profitto come le iene e gli sciacalli sul corpo del leone morente. Lecito chiedersi dove stia la coscienza di costoro e come facciano a guardarsi allo specchio.
Tuttavia, ammesso anche che abbia i numeri per governare, questo centrodestra ha dimostrato di essere traditore della Patria. Senza se e senza ma!
Quella di ieri è stata una pagina nera, sporca, vergognosa della storia repubblicana, una macchia incancellabile e un tributo pagato agli irresponsabili populisti. In ogni caso, la domanda reale che adesso più che mai occorre porsi è la seguente: da tutto ciò riusciremo a trarre qualcosa di positivo? Il compito di ricostruire una politica alta e altra rispetto alla vergogna andata in scena in queste ore è tutto in salita ma è sempre più urgente e necessario. Soprattutto dal lato destro dello schieramento. Di fronte a questa destra becera, opportunista, moralmente “parva”, serve un destra nuova, una destra non contingente ma di ampio respiro, che guardi all’interesse del paese (formula abusata) non come sommatoria degli appetiti a breve termine di singole porzioni di società civile (che siano balneari, tassisti o proprietari immobiliari), ma che sia visione strategica dell’Italia del domani, costruzione di cattedrali per le generazioni che verranno. Se questo centrodestra adesso si gode il lauto pasto in attesa di passare all’incasso elettorale, la destra che serve è tutt’altro: urge una destra etica ma anche estetica (perché la bellezza è una qualità morale), che certamente non è rappresentata da Meloni, Salvini e Berlusconi, ormai interessati solo alla spartizione del potere. Abbiamo, invece, bisogno di una destra del dovere e della responsabilità capace di cogliere al di là della nebbia del presente e dell’interesse di parte, il cielo del futuro e dell’interesse generale.
Insomma, una buona destra al di là e la di sopra di ogni aggettivazione ulteriore e specifica.
Oggi più che mai, serve che dalle ceneri di Giulio Cesare sorga un’età augustea luminosa e duratura che sappia ridare all’Italia quel prestigio e quella credibilità che per un attimo abbiamo assaporato grazie a Mario Draghi, oggi irrimediabilmente compromessi quale che sia l’esito di questa sciocca crisi estiva. Il tutto, in tempi duri e difficili, fatti di crisi economica, sociale, speculazione sui mercati e instabilità, eppure non tutto è perduto: non ancora. Cade il governo, ma si aprono praterie di agibilità politica per chi non si arrende all’ineluttabilità della vittoria populista; praterie che una buona destra dovrà esser capace di percorrere interpretando tutti coloro i quali non si rassegnano a morire di sovranismo. Esiste una società civile fatta di professionisti, associazioni, sindaci ecc., piccoli e grandi eroi della contemporaneità che avevano visto in Mario Draghi non certo il pater patriae, o il Messia, ma semplicemente una persona che con la sua sola presenza dava garanzie di stabilità, di speranza per un paese funestato da crisi a ripetizione. Lo hanno sostenuto pubblicamente e hanno sperato che mantenesse la sua posizione di premier.
Oggi che tutto questo è venuto meno, quella porzione di società deve trovare nuova rappresentanza e la sfida di una buona destra è tutta lì, al di là e oltre le formule alchemiche in politichese stretto. Raccogliere quell’anelito e tradurlo in azione politica (con la P maiuscola) concreta e responsabile. Al momento non si sa quale saranno gli scenari politico-partitici, come verrà ridisegnata la geografia politica e che cosa ne sarà di quei moderati (quelli veri) che non hanno abdicato ala loro identità (a differenza di chi si è schiacciato su posizioni estremiste). Forse, in questo momento non è neanche tanto importante. Quello che è certo, è che da oggi in poi parte una sfida nuova e che occorre mettere in campo le migliori energie del paese per dare rappresentanza a chi una rappresentanza non ce l’ha. Oggi più che mai l’intuizione di Filippo Rossi per il quale il problema, soprattutto a destra, è la mancanza di offerta politica, si è plasticamente e tragicamente dimostrata veritiera . E allora la Buona Destra deve colmare questo vuoto di offerta e sapersi fare interprete di un nuovo corso, con pazienza e tenacia; deve intensificare la propria attività, il proprio radicamento sul territorio e la propria azione politica , mostrando che è proprio ciò che serve al paese con entusiasmo e abnegazione.
Se, per tornare al romanzo distopico e da metaverso, Buona Destra fosse stata ieri in Senato, alla domanda di Draghi rivolta ai partiti “Siete pronti?”, essa avrebbe risposto un sonoro e un convinto SI! Da qui e da ora, bisogna ripartire.