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La Buona Destra contro il sovranismo

La Buona Destra contro il sovranismo

Ottobre 29, 2020 0 Comments by Marco Mensi in News

di Marco Mensi

La parola sovranismo è entrata prepotentemente nel nostro linguaggio quotidiano ormai da alcuni anni, ma dove nasce e dove si sviluppa il sovranismo di cui oggi tutti parliamo?

A memoria d’uomo questo termine è stato utilizzato per la prima volta dal movimento sovranista del Quèbec che ambiva ad ottenere l’indipendenza (e quindi la sovranità…) della provincia francofona dal resto del Canada. Nel continente europeo la prima esponente politica a parlare di sovranismo, secondo l’accezione che oggi intendiamo è stata invece la francese Marine Le Pen che ha presentato il Front National come un movimento sovranista.

La Le Pen voleva e vuole che la Francia torni ad essere sovrana nel suo territorio, padrona a casa sua, senza ingombranti e fastidiose influenze esterne da parte dell’Unione Europea. E Matteo Salvini con la sua nuova Lega ha ben pensato di seguire questo esempio, trasformando un partito regionalistico in una forza politica nazionale di ispirazione, non a caso, lepenista.

Lega e Front National (oggi Rassemblement National) sono movimenti sovranisti e populisti perchè, lo ricordiamo, non si può essere sovranisti senza essere anche populisti. Il populista di destra è colui che sostiene di proteggere e difendere il popolo dalle èlite, che identifica nei politici di professione e nei burocrati dell’ Unione Europea che vivono a Bruxelles.

Se quindi Silvio Berlusconi, un populista ma non un sovranista, attaccava il politico di professione, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, la quale ha ben pensato di seguire il capitano leghista su questa strada, attaccano invece i burocrati di Bruxelles. Il sovranismo è la risposta che i partiti della destra radicale hanno fornito alla crisi economica del 2008 e alle Primavere Arabe che hanno destabilizzato a loro volta l’area medioorientale soprattutto con le guerre civili in Libia e in Siria, favorendo indirettamente la partenza di quei “barconi della speranza” carichi di immigrati che sbarcano nell’ isola di Lampedusa e in altri porti europei (cd. paesi di primo approdo).

La democrazia liberale è entrata in crisi e oggi si parla sempre più di una possibile “democrazia illiberale” che non peraltro si è affermata in Ungheria con il Primo Ministro Viktor Orban, il sovranista per eccellenza che ha instaurato nel suo paese un vero e proprio regime autoritario .

La Buona Destra nasce per combattere il sovranismo e il populismo, per affermare la supremazia della democrazia liberale su quella illiberale, perché i cittadini capiscano che l’unico sovranismo possibile è solo ed esclusivamente quello degli Stati Uniti d’Europa. Le attuali istituzioni dell’ Unione Europea devono essere modernizzate e rese più democratiche, il principio della unanimità deve essere superato e sostituito con quello della maggioranza, si deve giungere ad una politica estera e di difesa uguale per tutti gli stati membri che resteranno liberi invece di disciplinare le materie di esclusivo interesse nazionale.

Per raggiungere questo risultato dobbiamo però restare all’interno dell’Unione Europea e della moneta unica, proclamare ai “quattro venti” il ritorno alla lira o al franco (in Francia), sostenere la necessità di uscire dalla UE non sono ragionamenti seri ma semplici slogan diretti esclusivamente alla “pancia della gente” che è sempre più disorientata davanti alle grandi crisi del nostro tempo, a cui si è recentemente aggiunta anche la pandemia .

La “Buona Politica” deve essere illuminata e deve guidare i cittadini verso un futuro migliore: un bravo politico deve governare secondo le sue convinzioni e perseguire sempre ciò che ritiene giusto senza farsi condizionare in continuazione dai sondaggi. Margareth Tatcher docet.

Per questo motivo è nata la Buona Destra.

 

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Minimalisti e sistema sanitario

Minimalisti e sistema sanitario

Ottobre 28, 2020 0 Comments by Claudio Desirò in News

Capita ancora, girovangando sui social, di leggere post di persone che sono al confine, tra minimalizzazione e negazionismo della pandemia in atto. Oltre ai classici no-mask, no-vax e no-tutto, infatti, si incontrano post di utenti che, probabilmente, vivono in un mondo virtuale tra pagine facebook e canali YouTube di “cazzari” senza pietà. Si parla di ospedali vuoti ed addirittura di attori che recitano la parte di malati in terapia intensiva, magari intubati, arrivando a spacciare teorie strampalate, che parlano di migliaia di asintomatici ricoverati, al solo scopo di riempire i posti letto disponibili negli ospedali. Il senso per cui qualcuno, qualche forza oscura superiore, avrebbe progettato tutto ciò, non è dato sapersi, ma quando si vive sempre con l’ansia di un complotto immaginario, quando si cerca sempre un “cattivo” di turno che manovra tutto dall’alto, è difficile che si sia lucidi per poter ragionare a dovere.

Chi, come me, gli ospedali li frequenta per lavoro o, ancora di più, chi lavora direttamente all’interno dei raparti, invece, la situazione non solo la conosce bene, ma la tocca con mano, quotidianamente. Spesso, vivendone i risvolti sulla propria pelle.

Come la Primavera scorsa, i reparti CoVid, di molte strutture ospedaliere, iniziano ad essere saturi di pazienti malati e, per questo motivo, altri reparti vengono quotidianamente riconvertiti per poter assicurare le cure ai pazienti positivi con sintomi. Già, perché non un solo asintomatico è ricoverato. Gli asintomatici, infatti, rimangono in isolamento fiduciario a casa mentre, in ospedale i posti letto sono occupati da pazienti in Terapia Intensiva e Sub-Intensiva, in quanto richiedono cure mediche adeguate, supporto respiratorio e personale specializzato.

Questo, purtroppo, genera l’esigenza di reperire sempre nuovi spazi, sopratutto quando, come in queste settimane, la pandemia non riesce più ad essere contenuta, portando ad un drastico aumento dei pazienti che necessitano di cure. E questo, di conseguenza, porta a dover chiudere altri reparti per riconvertirli alle esigenze CoVid, non assicurando più le necessarie strutture per la cura di altre patologie.

Quando le persone che pensano che la pandemia non esista, parlano di aumento di mortalità causato da altre patologie o di assenza di assistenza per queste, purtroppo, non vanno molto lontano dalla realtà, ma è la motivazione a sfuggire, in quanto manipolata ad arte dai creatori di bufale e dai sobillatori sociali.

Fin dall’inizio di questa pandemia, infatti, si è sempre sottolineato che, oltre alla mortalità diretta ed alle complicanze associate al virus, l’aspetto più preoccupante sarebbe stato il riflesso sul Sistema Sanitario, a causa dell’alta virulenza dell’agente patogeno. E questo, così come in primavera, sta avvenendo proprio in questi giorni, portando alla sospensione dell’erogazione di molti servizi da parte di numerose strutture ospedaliere delle zone maggiormente colpite.

Questo è uno dei motivi principali per cui si cerca di combattere il più possibile la diffusione della pandemia, anche prendendo misure limitative della libertà personale di tutti noi. Non ci si può permettere, infatti, di far saltare del tutto l’assistenza sanitaria del paese ed il diritto alla salute dei cittadini, a prescindere se positivi o meno a questo nuovo virus.

La situazione attuale, quindi, porta a due considerazioni riguardo il Sistema Sanitario Nazionale, una che parte da lontano, circa il suo indebolimento nel corso degli anni, l’altra, più recente, circa il mancato rafforzamento di questo nei recenti mesi estivi. Già, perché nei mesi che hanno preceduto la prevedibile, ed ampiamente prevista, seconda ondata, nulla è stato fatto per rafforzare il nostro SSN. I partiti di governo ed opposizione, si sono scontrati su posizioni ideologiche e di bandiera riguardo il MES, i cui fondi sarebbero stati fondamentali per assicurare spazi, personale e dotazioni adeguate ad affrontare la situazione che oggi ci vede in difficoltà.

Le carenze strutturali sono rimaste tali ed i posti in Terapia Intensiva, teoricamente da raddoppiare in quanto tagliati negli ultimi quindici anni, sono rimasti in fase progettuale e, dei 4000 posti previsti in più, solamente un migliaio sono stati portati a termine. Senza contare gli spazi CoVid sub intensivi che in diverse regioni stanno venendo approntati solamente in questi giorni, affrontando una disperata corsa contro il tempo. Inoltre, quando alcune cariche istituzionali e della Protezione Civile dicono “abbiamo acquistato i ventilatori polmonari, quindi i posti letto si sarebbero potuti fare”, si scordano, volutamente, di dire che un posto letto di TI non è un ventilatore polmonare. Per creare un effettivo posto letto di TI, infatti, al ventilatore bisogna aggiungere lo spazio necessario (spesso carente), il personale qualificato (non assunto) e tutta una serie di altre attrezzature da acquistare in parallelo (spesa complessiva economicamente più ingente del solo ventilatore polmonare). Aspetti che non vengono mai considerati e che ricadono in un confine nebuloso tra le competenze nazionali, incaricate delle spese sanitarie legate all’emergenza, e le istituzioni regionali, a cui è affidata la gestione del Sistema Sanitario Nazionale.

Al netto delle evidenti carenze gestionali, sopratutto in visione precauzionale, assoggettabili alle istituzioni centrali, un’ulteriore sottovalutazione è invece assoggettabile agli amministratori locali, Governatori ed Assessori alla Sanità regionali in primis. Tra Giunte Regionali che hanno prefissato protocolli differenti e misure cautelative diverse, Assessorati che hanno preventivamente acquistato notevoli quantità di materiale necessario, tra tamponi e mascherine, passando dai guanti fino ai disinfettanti, ed altri che, colpevolmente, non lo hanno fatto, i diversi livelli di assistenza sanitaria garantita nelle 20 regioni italiane, oggi è più evidente che mai.

La crisi pandemica in atto, quindi, una volta superata, dovrà portare ad un completo ripensamento riguardo il nostro Sistema Sanitari Nazionale, sia dal punto di vista del potenziamento, tramite lo stanziamento di fondi adeguati sempre più scarsi negli ultimi anni, sia attraverso una de-regionalizzazione che ha portato gli abitanti delle diverse regioni italiane, ad avere livelli di assistenza sanitaria totalmente diversa tra loro. Non si dovranno più vedere situazioni in cui, anche senza emergenze sanitarie in atto, un cittadino di una Regione abbia diritto ed accesso a cure ed esami a cui, un abitante di una regione diversa, non ha diritto. Il livello dell’assistenza sanitaria e le prestazioni erogate dovranno essere, nuovamente, uguali per tutti, e questo potrà essere possibile solamente ripensando la gestione del SSN a livello centrale. La regionalizzazione, in questi anni, ha portato una diffusa sperequazione territoriale a fronte di tagli economici più o meno sostanziosi a seconda del territorio considerato, con conseguenti livelli assistenziali diversi.

Siamo una Nazione, il diritto alla salute e, di conseguenza alla tutela di questa, deve essere assicurata ed identica per tutti.

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Il danno incalcolabile di un’opposizione negazionista

Il danno incalcolabile di un’opposizione negazionista

Ottobre 28, 2020 0 Comments by Redazione in News

Un’opposizione negazionista, un po’ per scarsa cultura, un po’ per convenienza, un po’ per spirito di contraddizione, è un danno in un Paese messo in ginocchio dalla pandemia, dove sarebbero necessarie forze politiche veramente in grado di svolgere il ruolo democratico loro assegnato di pungolo del governo.

È inutile che Salvini chieda cosa abbia fatto il Governo in questi mesi per prevenire la seconda ondata di coronavirus, quando lui per primo si è reso protagonista di comportamenti irresponsabili, girando senza mascherina per Codogno, Bergamo, Avezzano, Mondragone, presentandosi ad eventi pubblici con la febbre alta, minimizzando i rischi e le conseguenze sulla diffusione del virus, assecondando istinti no mask e spammandone le teorie assurde. Compresa quella di incolpare gli immigrati di “riportarci” un virus che purtroppo non se ne è mai andato.

Per l’opposizione in Italia contano più i pruriti dei follower sui social che il benessere dei cittadini e del Paese. “Non ci sarà una seconda ondata, è inutile continuare a terrorizzare le persone” affermava Salvini il 25 giugno. La realtà odierna è sotto gli occhi di tutti.

E il danno che fa un’opposizione ideologicamente incancrenita sul negazionismo stupido è incalcolabile, specie quando il governo si dimostra non all’altezza.

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Il nuovo Dpcm e lo sport

Il nuovo Dpcm e lo sport

Ottobre 27, 2020 0 Comments by Claudio Desirò in News

Il nuovo DPCM in vigore dal 26 ottobre contiene nuove misure restrittive che andranno a colpire duramente diversi settori economici e sociali del nostro paese.

Tra questi, il settore dello sport di base, subirà un nuovo stop che potrebbe mettere a repentaglio la tenuta futura dell’intero comparto. Le società sportive, siano esse ASD o SSD, avevano subito pesanti perdite nei mesi del lockdown e avevano grossi problemi economici e strutturali ben prima dello scatenarsi di questa pandemia. Nei mesi estivi si sono ritrovate ad affrontare onerosi investimenti economici per adeguare le loro procedure e le strutture che le ospitano alle nuove normative. Tutti questi sforzi, però, non basteranno a garantirne l’attività nelle prossime settimane, con il pericolo che l’intero settore non abbia la possibilità di risollevarsi dopo l’attuale crisi sanitaria in atto.

Sebbene si sia ancora in attesa di chiarimenti e di circolari esplicative, serpeggia nell’ambiente una grande preoccupazione circa il futuro di un settore da considerare fondamentale per lo sviluppo della nostra società, con ripercussioni economiche sull’intero paese.

Infatti, lo sport che viene considerato in Italia equivalente ad un’attività di svago, ha invece numerose ripercussioni sociali e sanitarie sulla società. Tutti gli studi di settore, ad esempio, riportano come ogni euro che la pubblica amministrazione investe nel settore, nell’arco di cinque anni, garantisca un risparmio di quattro euro per il Sistema Sanitario. Questo grazie alla capacità dell’attività sportiva, di ridurre tutte quelle patologie endemiche tipiche del nostro tempo: dai problemi cardiovascolari all’obesità, passando per diabete ed ipertensione, che sono anche tra le principali concause delle complicanze e della mortalità da CoVid-19.

Anche alla luce di questo effetto preventivo, unito al rafforzamento del sistema immunitario della persona, le nuove limitazioni, che di fatto impediscono l’attività sportiva, stridono con l’attuale situazione sanitaria in atto. Garantire la possibilità di fare sport, permetterebbe infatti una migliore salute generale dell’individuo che scaricherebbe, così, anche l’enorme stress psicofisico che grava su tutti noi.

Purtroppo, nonostante tutti gli attori coinvolti nel settore abbiamo rispettato scrupolosamente le norme vigenti, cosa riconosciuta dal Ministero dello Sport e che si evince dal fatto che non vi siano cluster di contagio riconducibili all’attività sportiva di base, le restrizioni minacciate all’atto della presentazione del precedente documento, sono state messe in opera col nuovo decreto.

Questo, affosserà di fatto l’intero comparto dello sport di base, creando anche notevoli ripercussioni sul nostro sport di vertice, che potrebbe avere difficoltà a continuare a conseguire quei risultati, nazionali ed internazionali, faticosamente raggiunti negli anni. Proprio lo sport di base, a partire dai giovanissimi, è in grado di formare gli atleti fornendo alle squadre di vertice i campioni di domani.

La crisi in atto sta costringendo, infine, molte società sportive alla chiusura, e questo porterà alla conseguente enorme perdita di posti di lavoro tra addetti, istruttori e tecnici e, le nuove limitazioni, andranno a peggiorare anche questa situazione. Lo sport è salute, benessere psicofisico e crescita valoriale e caratteriale per le giovani generazioni. Come qualsiasi settore culturale della nostra società, va tutelato ed aiutato a vivere in queste settimane e nel futuro.

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Gli italiani, da unti a untori

Gli italiani, da unti a untori

Ottobre 27, 2020 0 Comments by guest in News

di Francesco Rubera

Il governo in materia sanitaria è stato latitante per 7 mesi, passati in assenza di iniziative. E mentre dopo la prima ondata, Pd e pentastellati hanno esultato al successo, ( successo di che?) forse per il minor danno subito rispetto alle altre nazioni europee ove nessuna restrizione era stata imposta, oggi che c’è un ritorno della pandemia ancora più esponenziale rispetto alla primavera passata, si accusa il cittadino medio, l’uomo della strada di essere un untore.

In realtà, non c’è stato alcun un vero regista in questo film tragico del Covid. È mancata proprio la regia. Un Presidente del Consiglio e una pletora di presidenti di regione e sindaci che dietro e oltre le parole non hanno realizzato altro risultato che: il nulla. Lo Stato non si è imposto, come avrebbe dovuto in questa materia, secondo i poteri attribuiti dalla carta costituzionale. Le regioni, specie quelle guidate da politicanti in carriera, hanno peccato di protagonismo, spesso teatrale, creando altra confusione.

In realtà, se in Italia regna l’entropia è perché nessuno ha mai capito cosa volesse dire la modifica del titolo V della costituzione repubblicana, voluta nel 2001. Il presidente Conte non ha leadership, essendo ostaggio dei pentastellati di origini culturali antieuropeiste. Oggi, in Italia, si è creata una forte frattura sociale che mette in rischio la tenuta stessa del paese, non solo della maggioranza. Una frattura sociale che nasce dal malcontento popolare delle scelte governative che mettono a rischio gran parte del mondo produttivo. Accanto a chi può comodamente lavorare da casa, a chi ha uno stipendio che garantisce una certezza di reddito, esiste chi produce e tiene in vita l’economia di questo paese che rischia di chiudere e mettere a rischio chi vive di stipendio e di pensione: il mondo delle partite IVA.

Una frattura nata da DPCM assolutamente inadeguati a gestire la crisi del Covid che adesso si ripercuote sul tessuto economico del paese e che vede il popolo solidale con l’Italia che produce, schierarsi contro Conte, che scende nei sondaggi. Gli scontri nati nelle città, da scongiurare per il bene della democrazia, rappresentano tuttavia un malcontento dettato dall’incertezza. Una guerra tra poveri, nient’altro che questo: poveri impoveriti sempre di più da scelte di governo inadeguate in nome di una cura che il governo ha rifiutato. E purtroppo gli errori politici li paga il popolo che vota i suoi politici.

I ristoratori perdono dal 100 al 400% del fatturato, con collassi eccessivamente gravosi che porteranno al fallimento parecchie attività. Con essi si ferma tutto l’indotto: dall’industria vitivinicola ai prodotti dell’agricoltura, silvicoltura, industria agricola, produzione di carni e pesca. Le scelte per limitare il contagio appaiono del tutto inadeguate, poiché legate da un lato a norme di “mera raccomandazione” (smart working nelle aziende private), mentre quelle che azzoppano l’economia, con risultati del tutto minimali in termini di espansione del contagio, prevedono pesanti sanzioni del tutto contraddittorie ed “estremamente punitive”(vedi chiusura generalizzata dei locali nonostante gli adeguamenti in materia di sanificazione).

Il DPCM non ha tenuto conto che tanta gente ha investito per adeguare i propri locali di ristorazione, palestre, cinema e bar alle norme di sicurezza anticovid, facendo di tutta l’erba un fascio. Si potevano adeguare i controlli in maniera massiccia, con le forze dell’ordine. Ed invero, pare che si stia facendo una caccia alle streghe per colpire il virus senza seguire una vera strategia da seguire. La chiusura dei ristoranti alle 18.00 non ha una logica spiegabile. La verità è che dopo la prima ondata di Covid si è abbassata la guardia, nessuno si è occupato di intervenire in materia sanitaria per adeguare il deficit di strutture di rianimazione.

Si è pensato ad acquistare banchi per la scuola che non sarebbero serviti nel breve periodo, come l’esperienza ha dimostrato. Secondo la ministra Azzolina “le scuole sono luoghi molto più sicuri di altri luoghi che frequentano i ragazzi nelle ore pomeridiane”, ma i conti non tornano, anzi dicono altro: “ nell’ultima settimana c’è stata una impennata di 4.202 nuovi casi positivi a scuola, pari al 145,2%(fonte ItaliaOggi del 27 ottobre 2020).

E’ questo il prezzo della politica che l’Italia sta pagando, distratta per sette mesi dai problemi del numero dei parlamentari e dai banchi a rotelle nella scuola. Nessuno ha pensato ai trasporti per arrivare a scuola. Nessuno ha pensato ai mezzi per far partire ogni giorno migliaia di italiani che lavorano. E oggi si additano le palestre, i ristoratori e i baristi come e se fossero degli untori e i frequentatori di questi luoghi come degli appestati.

Eppure la via c’era. Erano pronti 38 miliardi del MES per adeguare le strutture sanitarie, unica via che Conte avrebbe dovuto seguire, con tutta la sua platea di virologi e consulenti azzeccagarbugli al seguito, ma questa strategia non ha vinto. Ha vinto il narcisistico senso di cantare vittoria sul recovery fund, che forse vedremo a luglio 2021. Oggi mera propaganda politica.

Se fossero stati disposti con urgenza i fondi del MES in strutture sanitarie e di rianimazione, oggi la seconda ondata di Covid sarebbe stata affrontata con più tranquillità, senza arrecare danni al paese. E mentre in Cina costruivano a marzo la più grossa struttura ospedaliera del mondo in due settimane e noi costruivamo il ponte di Genova in 1 mese per riparare il dramma di Genova (operazione di tempismo propagandistico senza precedenti) oggi stiamo qui a fine ottobre a contare i posti letto insufficienti. Ad accusarci e fare retorica sul MES che declasserebbe il nostro debito pubblico, mentre i debiti ci stanno sommergendo sino al collo, l’economia muore e il Covid continua a mietere vittime e a rendere impossibile la vita nelle sale rianimazione per i flussi di aumento esponenziale dei malati.

E’ sul mancato utilizzo delle risorse del MES che il governo Conte ha la più grossa responsabilità della quale dovrà rendere in conto agli italiani, oramai unti dall’estrema unzione.

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Il popolo ha sempre ragione? Sì, ma solo quando non ha torto

Il popolo ha sempre ragione? Sì, ma solo quando non ha torto

Ottobre 26, 2020 0 Comments by Andrea Molle in News

di Andrea Molle

Pur costituendo una innegabile tragedia, la pandemia è forse l’ultima occasione per ricreare delle basi per una dialettica democratica finalmente sana. La prima lezione che dovremmo imparare è che le opinioni, anche quando basate su fatti concreti, non sono tutte uguali e che soprattutto non sono ugualmente valide al fine di prendere importanti e dolorose decisioni di salute pubblica.

Ciò che in teoria appare come un’ovvietà è palesemente negato dai fatti. In questi mesi abbiamo assistito a una varietà di casi, dall’onnipresente laureato all’Università della Stada che pontifica sulla summa dello scibile umano, all’astrofisico che pretende di essere esperto di epidemie, al virologo che si improvvisa economista mentre quest’ultimo pretende di avere l’ultima parola sulle politiche da adottare per contenere gli effetti nefasti del COVID-19 solo perchè, a suo dire, tutto gira attorno al mercato. Abbiamo anche imparato, o almeno avremmo dovuto, che nella confusione creata da opinioni così diverse sia difficile resistere alla tentazione di imporre la propria, soprattutto quando si ha il potere di farlo a colpi di decreti, o ammantandosi dell’autorità che deriva dalla scienza. Ma più di tutto, dovremmo imparare che il populismo ha un limite oggettivo, invalicabile, nella gestione delle emergenze.

I fatti di Napoli e Roma, gli ultimi di una lunga serie di espressioni del malcontento e dell’esasperazione popolare che sono destinati ad aggravarsi, ci insegnano infatti che indipendentemente dai mandanti politici o dalle infiltrazioni criminali il popolo non ha sempre ragione e che dalla somma degli sfrenati egoismi individuali non emerge mai il bene collettivo.

A furia di coccolare le peggiori tendenze del popolo, in un clima di perenne campagna elettorale, Meloni e Salvini sono oggi palesemente a disagio. Il loro silenzio e l’incapacità di offrire soluzioni nascondono il fatto che i due leader della destra italiana hanno perduto ogni capacità di guidare le masse e hanno finito per farsi guidare dal mostro che loro stessi hanno creato.

La politica non deve certo imporre la propria volontà, ma adempiere al compito stesso per cui è nata e cioè quello di guidare il popolo, educare gli individui al rispetto delle necessità collettive, risolvere gli inevitabili conflitti e le ovvie esternalità derivate dalla presenza di interessi contrastanti. Una politica che, specialmente a destra, dovrebbe liberarsi del fantasma delle masse amorfe e urlanti e ispirarsi a valori di libertà, prima di tutto individuale, ma anche di pacata promozione dell’ordine sociale, che rende possibile la convivenza e il progresso culturale del Paese.

Con l’ipotesi, sempre più concreta, di un nuovo lockdown nazionale che avrà effetti devastanti sul paese è necessario che la politica ritrovi la sua dimensione originaria di “arte del governare”. Oggi più che mai non c’è spazio per una politica che si limita a vincere le elezioni e non c’è spazio per i populisti.

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Solo una frana può salvare l’America

Solo una frana può salvare l’America

Ottobre 24, 2020 0 Comments by guest in News

di Andrea Molle

In inglese è chiamato “landslide”, in italiano si traduce letteralmente come una “frana”, e consiste nella vittoria con una maggioranza schiacciante di un candidato. Questo è quello cui ambisce il partito democratico in America, ma sarebbe più corretto dire che è questo quello di cui ha bisogno Biden per vincere realmente senza che il paese imploda sotto il peso delle conseguenze di una vittoria contestata. A meno che Biden non sia portato alla Casa Bianca dalla tanto sperata “blue tide”, un voto popolare superiore a Trump di almeno il 10% e un numero di grandi elettori ben più alto dei 271 necessari, il presidente in carica ha già annunciato che contesterà l’esisto delle urne.

Nel paese dove tra i numeri rapidi, quello dell’avvocato ha un’importanza pari a quella di un membro della famiglia, non è difficile immaginare che una vittoria risicata di Biden, ma anche una maggioranza chiara ma non schiacciante, potrebbe causare un impasse costituzionale simile a quella cui abbiamo assistito nel 2000 durante la battaglia per la Presidenza tra George Bush e Al Gore. Nel 2000, a seguito di problemi con il voto nello stato della Florida, stato che anche oggi rischia di diventare determinante per l’elezione del Presidente, la Corte Suprema decise che un riconteggio avrebbe messo a repentaglio la stabilità del Paese data la necessaria tempestività nell’eleggere il Capo dello Stato e riconfermò, dolorosamente ma senza troppi indugi, la vittoria di Bush. Ciò avvenne in barba alla Costituzione, che vuole che in caso di parità tra in candidati sia il Congresso, a maggioranza, a decidere il nome del futuro Presidente. Inoltre, la decisione della Corte, per espressa volontà dei suoi membri, incluse una volontà esplicita nell’impedire che una tale decisione fosse un precedente vincolante per il futuro.

Paradossalmente però, nel 2000 si creò un altro precedente e cioé che in caso di contestazione, invece di un riconteggio, sia la Corte Suprema e non il congresso democraticamente eletto a decidere le sorti dell’elezione. Con una Corte che si appresta ad avere una schiacciante maggioranza Repubblicana e favorevole al Presidente uscente, non è affatto una possibilità remota che Trump possa, ancora una volta ed in barba alla volontà popolare, vincere la competizione elettorale più importante del mondo. Se ciò avvenisse le conseguenze sarebbero fatali per l’America. Da un lato, le altamente probabili proteste popolari quasi certamente accenderebbero un conflitto sociale con un solo precedente nella storia del Paese: la Guerra di Secessione. Anche volendo escludere questa evenienza, la sola presidenza Trump, con un Congresso quasi certamente a maggioranza democratica, porterebbe alla paralisi del paese in una fase della politica mondiale estremamente delicata. E il sogno americano si tramuterebbe definitivamente in un incubo. Un incubo in cui tutto il mondo, alla fine, rischierebbe di precipitare.

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Compagno di scuola, compagno di niente

Compagno di scuola, compagno di niente

Ottobre 23, 2020 0 Comments by Alessandro Cini in News

E’ bastato un attimo e, in un Paese di 60 milioni di abitanti, i maggiori indiziati di pandemia, per qualcuno i veri responsabili di questo disastro annunciato sotto forma di virus, tornano a essere i nostri figli e nipoti. Un’Italia anziana, quella che presidia militarmente gli studi dei medici di base, quella che affolla i check point per il tampone rapido aumentando i rischi di contagio, quella che non ha mosso un dito per rimodulare il sistema del trasporto pubblico delle città, che non ha voluto e saputo capire che anche lo sport di base avrebbe dovuto fare la propria parte, che ha pensato bene di “fare cassa” questa estate pressata dai soliti noti, quella incapace di immaginare una scuola diversa da un grigio opificio di fine ‘800, punta nuovamente il dito contro il proprio futuro.

I giovani. Sarebbe come accusare di furto con scasso la propria mano e, per questo, condannarla alla pena capitale, come se il resto del corpo, cervello compreso, non ne sapesse nulla.
Roba da lettino psicanalitico. Sul proprio profilo social Carlo Cottarelli in queste ore scrive: “Si ricomincia a parlare di chiudere le scuole. Non voglio ironizzare su banchi a rotelle e altro. Ma dobbiamo evitare che quelli che ci rimettono siano i nostri ragazzi, soprattutto quelli delle famiglie più in difficoltà, che hanno tanto bisogno di andare a scuola.” Ve lo dico subito: io sto con Cottarelli. Non si deve essere necessariamente Don Lorenzo Milani per comprendere e accogliere questo messaggio di civiltà e si buon senso. Malgrado tutti gli errori di imperizia, disorganizzazione e mancato coordinamento commessi da un sistema politico ostaggio delle logiche elettorali e di partito, nonostante questo stesso sistema che poi governa Stato, Regioni e Comuni, noi, che ci reputiamo adulti responsabili, abbiamo ripreso in mano questa penosa, ridicola guerra generazionale.

Certo: rafforzare un pregiudizio è di gran lunga più facile e comodo che cambiare punto di vista, agendo di conseguenza. E’ la logica dell’individuazione dell’avversario tanto cara ai sovranisti, anche se in questo caso l’untore è formato “baby”, gira con i risvoltini ai jeans e indossa modelli di scarpe da ginnastica con nomi di androidi da saga di “Guerre Stellari”.
E giusto per restare in tema, anche la sola idea che lo spazio deputato alla Scuola potesse essere gestito come una bolla asettica costruita dai ricercatori della Nasa, era di per sé fantascientifica. Fuori dalle classi, infatti, un’intera società composta da aziende di trasporto pubblico urbano già in larga parte sofferenti, di un tempo libero ormai modulato sul ritmo “Trap” degli apericena, di attività sportive di base portate avanti da poveri e inermi appassionati e di luoghi di incontro riempiti furbescamente come tacchini della tradizione natalizia, ha continuato a operare cieca, muta e sorda dinanzi a un male subdolo e devastante.

Su quella fabbrica di travet che è la Scuola, realtà resa viva “da migliaia di gambe e di occhiali di corsa sulle scale”, sta per calare nuovamente il fallimentare sipario della didattica a distanza. Daremo nuovamente in pasto i nostri figli e nipoti a questa inutile, inefficace, settaria, classista, alienante, impersonale e fuorviante forma di insegnamento. Oltre al danno di vedersi trasmettere il sapere via web da qualcuno “Che ti legge sempre la stessa storia nello stesso modo, sullo stesso libro, con le stesse parole. Da quarant’anni di onesta professione”, i nostri ragazzi stanno per pagare un prezzo altissimo per vedere riconosciuto il proprio diritto a vivere la loro età.

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Modernità e fisco: uno stato moderno non può prescindere dalla riduzione della pressione fiscale

Modernità e fisco: uno stato moderno non può prescindere dalla riduzione della pressione fiscale

Ottobre 23, 2020 0 Comments by guest in News

di Francesco Rubera

La ricomparsa delle diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza di questo ventennio, fanno sorgere serie riflessioni in un periodo in cui è messa in dubbio l’idea stessa della solidarietà.

La giustizia distributiva passa attraverso un corretto sistema di progressività e, in questo periodo di crisi economica, gioca un ruolo fondamentale il ripristino dei principi costituzionali specie quello di capacità contributiva. Bisogna ripensare l’idea dell’uguaglianza tributaria in un momento in cui la capacità contributiva deve fare i conti con le garanzie dei minimi vitali di sussistenza. L’aumento della povertà e la forbice delle diseguaglianze, impongono di ricostruire un nuovo sistema fiscale meno incisivo, meno “oppressivo” in sede di esecuzione forzata tributaria e più aperto alla soluzione delle problematiche legate alla crisi economica mondiale. Secondo l’Unione Europea, l’Italia è il secondo paese in Europa quanto a diseguaglianze e a distribuzione dei redditi e della ricchezza, ove il divario tra le generazioni è sempre più accentuato: “giovani sempre meno garantiti e sempre più poveri, e anziani più garantiti sia dal sistema pensionistico e di welfare oltre che dalla ricchezza accumulata durante la vita lavorativa”.

Il sistema pensionistico necessita dell’utilizzo di parte delle entrate fiscali per essere sostenuto, la contribuzione della popolazione lavorativa non è più sufficiente in una nazione con i cittadini invecchiano sempre di più. In questo contesto, lo Stato per garantire i propri cittadini, deve ricorrere necessariamente al fisco, ma non potendo gestire autonomamente il proprio sistema pensionistico, in un paese già fortemente indebitato e che fa parte di un’entità sovranazionale a cui ha ceduto la sovranità monetaria, deve fare i conti con la quantità delle prestazioni pensionistiche erogate e ricorrere ad una riduzione degli assegni pensionistici in favore dei pensionati futuri al fine di equilibrare il sistema, oppure ricorrere all’aumento dell’età pensionabile.

La liberalizzazione mondiale dei mercati dei capitali e dei prodotti finanziari, la c.d. finanziarizzazione dell’economia ha accelerato lo spostamento della ricchezza dai ceti medi e dalle classi popolari, verso una cerchia sempre più ristretta di nuovi ricchi. Si stima che in Italia, il 10% della popolazione detenga il 50% della ricchezza nazionale, mentre il restante 90% sopravvive con il 50% della ricchezza restante. Ossia, accanto ad una minoranza di italiani ricchi, sempre più ricchi, esiste una maggioranza di italiani che sopravvive di stenti, di famiglie che non giungono a metà mese che sono sempre più costrette a ricorrere all’indebitamento per garantirsi il minimo vitale di sussistenza.

In questo sistema, il fisco dovrebbe essere una valvola di sicurezza per tentare un ripristino dell’equità. E’ opinione comune  che l’assenza di una vera e propria unione federale, causata dall’inesistenza di una Europa politica, dopo la bocciatura dei referendum francese e olandese sulla costituzione europea non abbia consentito una seria e uniforme politica fiscale in tutti i paesi membri, creando squilibri strutturali nella zona Euro, con accentuazione e concentrazione della ricchezza dai paesi più poveri, gravati da un eccesso di pressione fiscale a causa dell’indebitamento, verso i paesi più ricchi con redditi meno tassati.

La gravità dell’attuale situazione, non trova sbocchi nel breve termine con una semplice riforma fiscale. Ma necessita di più, nell’attuale costituzione vivente va ripensato il sistema fiscale nella sua interezza e il ruolo dell’imposizione fiscale secondo un modello di redistribuzione della ricchezza più equamente inteso, al fine di garantire una giusta ripartizione delle risorse. Uno stato che non garantisce i minimi vitali, in cui il potere d’acquisto di stipendi e salari è ridotto al minimo, mentre la pressione fiscale ( tra fisco nazionale e fiscalità locale) incide quasi al 50% sui redditi dei cittadini e delle partite IVA,  viola costantemente il principio di capacità contributiva, crea gli ostacoli di ordine economico e sociale, anzichè rimuoverli.

Credo che oggi, l’eccessiva pressione fiscale in uno Stato che è sempre più invasivo meno garante dell’iniziativa privata, sempre meno fautore dell’impresa produttiva e della produttività delle partite IVA, ma sempre meno sociale e  proteso a finanziare spese assistenziali e improduttive, in cui la pressione fiscale è elevatissima poichè le entrate servono a pagare gli interessi del debito pubblico, rappresenti non solo una contraddizione in termini verso un modello di sviluppo possibile, ma un nodo gordiano per l’economia e per i cittadini stretti in una morsa che ha impoverito il ceto medio sino a spingerlo verso l’indebitamento per sopravvivere.

Quindi, occorre che la politica fiscale riparta dall’etica dell’uguaglianza non formale, ma sostanziale che incentivi l’impresa produttiva e disincentivi la spesa assistenzialistica. In cui il ruolo centrale debba giocarlo una economia interventista, verso un modello di sistema fiscale che anche in fase di esecuzione forzata, metta in evidenza le reali criticità economiche dei contribuenti e le dinamiche dei loro rapporti, per creare un giusto equilibrio tra gli attori del sistema (imprese e famiglie). In questo panorama, viene in rilievo l’interconnessione dal lato passivo dell’analisi delle situazioni debitorie osservando l’intera posizione del soggetto indebitato sia avuto riguardo ai debiti bancari che ai debiti fiscali.

Anche quì, la CEDU ha sancito il principio di proporzionalità. La legislazione della riscossione coattiva, negli ultimi anni, si è ispirata a questo principio, introducendo alcune modifiche “favor debitoris”. A livello Europeo, il principio di proporzionalità, derivante dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ha messo in evidenza l’esigenza di tutela del contribuente- debitore, e la salvaguardia del suo patrimonio. Secondo l’art. 1 del primo protocollo addizionale alla CEDU; “ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni”, nel secondo periodo è sancito che la compressione del diritto di proprietà potrà avvenire solo per “cause di pubblica utilità nelle condizioni previste dalla legge o dai principi generali di diritto internazionale”.

Tra i motivi o cause di pubblica utilità, viene aggiunto al secondo paragrafo che “ogni Stato può comprimere il diritto di proprietà …in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”. La Corte di Strasburgo ha sempre lasciato ampia discrezionalità agli Stati membri, riguardo alla loro politica di esazione fiscale, tuttavia in tema di privazione dei diritti di proprietà il criterio della Corte si è ispirato al principio della proporzionalità ossia alla giusta dose di equità o di equilibrio nel dosare l’esecuzione tenendo conto delle contrapposte esigenze tra l’interesse generale e la salvaguardia del diritto fondamentale dell’individuo, in un rapporto paritario e non più di supremazia dello Stato sovrano.

Con la nascita dell’Euro e la cessione della sovranità monetaria, scompare pure la Banca d’Italia in relazione alle funzioni di gestione dei titoli del debito pubblico, lo stato nazionale non può più far ricorso al debito pubblico di propria iniziativa ed inizia l’epoca dell’austerità che colpisce i paesi dell’Euro più indebitati. Il problema è che all’Unione monetaria avrebbe dovuto seguire una vera e propria unione politica, proprio per ridurre gli effetti del rigore, ma la bocciatura della Costituzione Europea con i referendum nazionali (quello francese in primis) hanno impedito che alla cessione della sovranità monetaria seguisse la nascita di una Europa politica di Stati Federali con un Parlamento che avesse funzioni legislative e gestionali della politica economica secondo solidarietà e senza austerità. L’Europa monetaria incapace di avere una propria costituzione, ha spinto sino al punto di mettere in discussione le costituzioni nazionali di stampo pluralista-democratico, nate nel  secondo dopoguerra, per rendere più forti i poteri forti dell’economia rispetto agli esecutivi nazionali che nelle scelte monetarie, spesso anche dolorose, non possono più decidere.

Il resto è storia recente.

Questa breve analisi servirà a farci comprendere un dato: ” mentre da un lato il ceto medio fatto di artigiani, imprenditori e professionisti oltre che di lavoratori dipendenti, ha vissuto l’infelice aumento della tassazione, e i dipendenti persino il blocco delle contrattazioni di lavoro, dall’altro lato migliaia di italiani specie giovani e scoraggiati, si sono trasferiti all’estero”. Pertanto, giocoforza il fisco nazionale, nell’era della globalizzazione inizia ad assumere un ruolo sempre di più centrale nella scelta delle localizzazioni delle attività produttive.

Le imprese si spostano non solo ove il costo del lavoro è più basso, ma ove è garantita una maggiore pace fiscale. Questo impoverimento del tessuto produttivo ha ancora di più creato le sacche dei nuovi poveri, sino a raggiungere oggi i livelli mai visti prima. Si stima che un cittadino su quattro viva sotto la soglia di povertà. Si tratta di piccoli imprenditori, artigiani costretti a chiudere, impiegati e operai che perdono il lavoro, disoccupati rimasti senza lavoro over 50. E’ questo l’identikit del nuovo povero. Si tratta di un ceto medio che esce provato da questa crisi, e anzichè essere aiutato dallo Stato, subisce il colpo di grazia con l’aumento della pressione fiscale al 48%. Se analizziamo il dato dell’aumento della povertà ( si stima che un Italiano su 4 nel 2017 sia ridotto in condizioni di povertà) e l’eccesso di pressione fiscale, a fronte di un quarto della popolazione che non raggiunge i minimi vitali di sostentamento, ci si rende conto, non solo che il principio di capacità contributiva e l’equità fiscale siano diventati una lettera morta, ma che aumentano i piccoli evasori giornalieri per difendersi da uno stato definito “predatore”. Si tratta di quelli dello scontrino o quelli che concorrono nell’evasione altrui, ad es. i pazienti del dentista che non si fanno rilasciare alcuna ricevuta per usufruire dello sconto del 30% sul costo della prestazione ricevuta.

Il premio Nobel per l’economia Milton Friedman ha sostenuto una verità triste per la nostra nazione: “se l’Italia si regge ancora è grazie al mercato nero e all’evasione fiscale che sono in grado di sottrarre ricchezze alla macchina parassitaria ed improduttiva dello Stato per indirizzarle invece verso attività produttive”. Quindi, secondo questo autorevole studioso, in Italia la domanda regge ancora, paradossalmente “grazie” all’evasione fiscale, atteso che il denaro che finisce nelle casse dello Stato non genera alcun valore aggiunto. Quindi, non solo in tale contesto i cittadini sono vessati dal fisco con aliquote troppo elevate, ma non usufruiscono di alcun giovamento della spesa pubblica che è sempre più limitata, a dimostrazione che, a parte gli sprechi del denaro pubblico in fenomeni corruttivi e collusivi, come ci insegnano i fatti di cronaca giudiziaria, è drammatico il quadro di riferimento, ossia che il danaro pubblico venga principalmente utilizzato per coprire il debito pubblico.

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Il Mes? Solo un problema ideologico

Il Mes? Solo un problema ideologico

Ottobre 21, 2020 0 Comments by guest in News

di Francesco Rubera

“Lo Stato non ha altre fonti di danaro che non siano il danaro che le persone si guadagnano. Se lo Stato vuole spendere di più, può farlo solo prendendo a prestito i vostri risparmi oppure tassando di più. Non serve a niente pensare che qualcun altro pagherà: questo ‘qualcun altro’ siete voi. Non esiste una cosa chiamata ‘denaro pubblico’; c’è solo il denaro dei contribuenti” ( Margaret Thatcher).

“Se premi la gente che non lavora e la tassi quando lavora, non essere sorpreso se produci disoccupazione” ( Milton Friedman).

In questi due principi liberali, si sintetizza la storia contemporanea nella sua stucchevole e drammatica attualità disarmante. Perché questi richiami di due illustri liberali, sono così attuali? Bene, il presidente Conte ha dichiarato che il MES ci costerebbe nuove tasse per restituirlo o riduzioni di spesa, ma in realtà le sue affermazioni lasciano perplessi, sino al legittimo sospetto in merito alla loro veridicità.

Ed invero, il nuovo BTP Italia 2020 ha permesso di raccogliere 22,3 miliardi. Il MES avrebbe garantito sino A 37 miliardi. Com’è noto, l’Italia è tradizionalmente un paese di risparmiatori e buona parte della raccolta è realizzata grazie ai risparmiatori italiani, oltre che esteri. Ma i BTP, avendo attualmente un tasso negativo costano meno del MES, che ha finalità solidali tra stati, ma che richiede garanzie e privilegi maggiori. In effetti, quando si calcola il costo dei BTP si dovrà tener conto delle premialità legate ai suddetti titoli. Con una raccolta di oltre 22 miliardi di euro, il BTP Italia 2020, finanzia (in parte, ovviamente) i provvedimenti sinora approvati per contrastare gli effetti economici della pandemia da COVID-19 e gli investimenti nel settore sanitario. Il nuovo BTP Italia 2020 ha un rendimento dell’1,4%, tasso minimo previsto dal MEF, ma prevede alcune premialità dopo i 5 anni ( attribuiti a coloro che li scambiano alla naturale scadenza), che a conti fatti costano all’Italia molto più del MES.

Il BTP 2020 ha permesso al Tesoro di non dover offrire tassi di interesse troppo elevati. Però, gli investitori saranno “premiati” oltre che con un rendimento dell’1,4% annuo, anche con le su citate premialità accessorie che potrebbero consentire agli investitori di raddoppiare questa percentuale. Il tasso è inoltre indicizzato al tasso di inflazione, così come il capitale. In questo modo, gli acquirenti non solo vedranno rivalutare i loro soldi “prestati” allo Stato, ma vedranno anche crescere il tasso di interesse generale in base al livello di indicizzazione legato alle spinte inflazionistiche. A fine quinquennio, quindi, il BTP Italia 2020 sarà il doppio rispetto all’1,4% del suo rendimento “nominale”.

Con il MES avremmo speso, secondo un’analisi condotta da Bloomberg in 22,3 miliardi di euro ( raccolti con i BTP), appena 110 milioni di euro. Ciò premesso, e’ di tutta evidenza che il nuovo Fondo Salva Stati che garantisce prestiti con un tasso di interesse di appena lo 0,1% sarebbe stato con assoluta certezza, molto più conveniente. Il BTP, provoca, invece, un saldo negativo da 1,290 miliardi di euro che rappresenta “il prezzo”, scaricato sui cittadini, “delle tensioni politiche con l’Europa” sul MES.

Per questo la valutazione di Conte sulle nuove tasse da istituire per restituire il MES è poco convincente. Perché i BTP ci costeranno 11 volte tanto. A conferma di ciò, c’è la spada di Damocle di istituire l’Imu sulla prima casa. Ma v’e di più, l’Italia è già al 48%, di pressione fiscale reale che è il rapporto tra gettito annuo e PIL comprensivo non solo del carico fiscale legale, ma anche del calcolo dell’incidenza sul PIL dell’economia non osservata, ossia l’economia sommersa e quella illegale. E se l’aiuto alle famiglie e imprese, promesso dal governo, dovrà servire a pagare le tasse, per ripagare il debito pubblico che a loro volta servono a pagare gli interessi del debito pubblico, succede che l’indebitamento pubblico si sta scaricando sulle parti più deboli della società, ma sta distruggendo alla base l’economia reale perché provocherà solo depressione economica con pericoli di spunte inflazionistiche che solo l’euro potrà contenere, ma che non faranno di certo piacere all’eurozona. Ed è questo il risultato della politica di spesa assistenziale voluta dal PUS ( partito unico della spesa) per anni, ove ha contribuito certamente il Covid, ma non da meno RdC e quota 100. E allora si dovrà ritenere che in un momento di crisi generale dovuta al Covid, essendo necessaria una iniezione di liquidità, non potrà esistere azione migliore che prendere danaro laddove costi meno. Non vi sono altre vie.

Carlo Cottarelli ha dichiarato che il MES costa meno dei BTP, contraddicendo quanto affermato da Conte, secondo cui il MES implicherebbe nuove tasse. I BTP costano undici volte tanto. Il costo del denaro tra MES e BTP è 1 a 11. Tutto il resto: credibilità internazionale, prestito privilegiato, rischi di vederci declassati, rappresentano una vox populi per giustificare, in realtà, la guerra interna ai 5stelle, ma non v’e’ dubbio che ciò che declassa di più all’occhio delle Agezie internazionali è il livello di indebitamento di uno stato, la quantità e non la qualità dei suoi finanziamenti. Ad oggi 5 paesi europei hanno fatto ricorso al MES e nessun declassamento è avvenuto.

È paradossale che un partito che propone il taglio del numero dei parlamentari per risparmiare 50 milioni di euro l’anno, ne spenda oltre 1 miliardo in più per interessi passivi su un prestito, che avrebbe potuto evitare, solo scegliendo un altro finanziamento. Ecco, questo è il costo dell’antieuropeismo che debbono pagare i cittadini italiani. D’Altronde cosa ci aspettavamo da forze politiche che tendono ad aprirsi alla Cina e sono sempre state euroscettiche ed antieuropeiste nel DNA? Ma ricordate i comizi di Grillo per un ritorno alla lira? Non è un caso che da Giogia Meloni a Salvini, sino a Di Maio, rispettivamente filoamericana; filorusso e filocinese, esista un fronte comune contro il MES. Esso rappresenta un movimento trasversale che crea una posizione di contrasto dentro la stessa maggioranza che si fa opposizione da sola ( PD e M5S).

Ed invero, è compito di una buona destra, liberale ed europeista, battersi per creare una Europa più forte, i nuovi Stati Uniti d’Europa, affinché l’Europa abbia più forza internazionale, oltre che rappresentatività e azione popolare, fatta di scelte democratiche condivise e dettate dalla sovranità popolare. Nessun Europeo credo che voglia diventare colono russo, cinese o americano, ma tutti vogliamo riprendere il progetto di Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Altiero Spinelli, giunto a metà strada e bloccato dai sovranismi del referendum Francese e Olandese.

Rendiamoci conto che il sovranismo non fa bene agli europei, ed oggi sta costando molto, gli italiani lo vedranno tra poco sapete come? Ovvio, con le tasse ulteriori per pagare gli interessi dei BTP.

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