Antisemitismo e razzismo, grande risultato della Buona Destra a Rosignano Marittima
“L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio nei loro confronti. Le manifestazioni retoriche e fisiche di antisemitismo sono dirette verso le persone ebree o non ebree, i loro beni, le istituzioni delle comunità ebraiche e i loro luoghi di culto”.
Questa è la definizione di antisemitismo riconosciuta dall’IHRA e contenuta nella mozione approvata all’unanimità dal Comune di Rosignano Marittima (LI) su proposta della consigliera della Buona Destra, Donatella Di Dio.
Grazie a questa mozione, il consiglio comunale impegna il sindaco e la giunta comunale ad attivarsi nelle sedi opportune per fare in modo che sia effettivamente applicata nell’azione amministrativa dell’Ente comunale la definizione operativa di antisemitismo sancita dall’IHRA, nella sua integrale definizione ed esemplificazione, divenendo patrimonio culturale e giuridico comune, secondo quanto sollecitato nella Risoluzione con raccomandazioni del Parlamento Europeo n. 2017/2692 “Lotta contro l’antisemitismo”.
Un buon lavoro da parte della consigliera Di Dio, che ha portato a compimento una straordinaria battaglia di civiltà contro ogni forma di antisemitismo e razzismo.
L’indecisione della politica e gli effetti dannosi sull’impalcatura democratica
di Nicola Iuvinale
La tripartizione dei poteri dello Stato è alla base delle moderne democrazie liberali.
La Costituzione stabilisce che la Repubblica abbia un Governo che detiene il potere esecutivo, un Parlamento che esercita quello legislativo (attraverso gli eletti direttamente dai cittadini) e l’ordine Giudiziario che esercita la funzione giurisdizionale.
La magistratura gode di assoluta indipendenza ed ha nel Consiglio Superiore della Magistratura il suo organo di autogoverno.
I poteri, le funzioni degli organi, devono essere separati, cioè va evitata il più possibile l’invasione di campo dall’una all’altra parte.
La separazione dei poteri regge l’impalcatura democratica nello “Stato di diritto” ed eventuali “sbilanci” possono creare delle sensibili ed evidenti fratture.
Negli ultimi anni si è assistito “all’indecisionismo politico” di tutti i partiti, di maggioranza e di opposizione, più occupati a garantirsi il gradimento degli elettori, anziché provvedere nel Parlamento.
Inutili proclami elettorali manifestati sui social, sui giornali, sul web e mancanza di decisione nelle “stanze istituzionali”.
Anche il modus operandi del Governo – che negli ultimi anni ricorre con sempre rinnovata frequenza allo strumento del decreto-legge (ottenendone poi la conversione in legge dal Parlamento attraverso il continuo ricorso al voto di fiducia), utilizzando, per la disciplina dei profili sostanziali, “decreti di natura non regolamentare” non pare conformarsi correttamente ai precetti costituzionali.
I provvedimenti normativi si sottraggono, così, alla necessaria dialettica parlamentare.
Ed il tutto è favorito anche da un Parlamento, sempre più inerte, che finisce per porre il sistema delle “fonti del diritto” ad una torsione sempre più “autoritaria” e marcatamente tecnocratica, rimettendone frequentemente la creazione nelle mani dell’esecutivo e dei Ministeri.
La produzione normativa, anche con il facile ricorso alla legge delega al Governo, si sposta, quindi, sempre più dalle mani del Parlamento (cioè dei cittadini) a quelle del Governo, generandosi una normazione talvolta abnorme, tecnicistica, di difficile comprensione ed attuazione.
Ed il potere Giudiziario, con la partecipazione “dirigenziale” nei Ministeri (es. magistrati in aspettativa con nomina dirigenziale nei vari Ministeri, anche in quello della Giustizia), finisce per invadere il campo del potere esecutivo, determinandosi una commistione di visioni e di azioni.
A ciò, si somma anche l’ironico gusto, che si intravvede tra le righe di certe tendenze della Giurisprudenza, di mettere in evidenza le manchevolezze delle leggi e di far ricadere tutte le colpe sull’inerzia del legislatore che non provvede. E l’atteggiamento dell’ordine giudiziario, che non corrisponde più ai doveri costituzionali, per accorgersi della Costituzione e delle mete che essa segue, non ha più bisogno di passare attraverso il tramite del legislatore.
Queste le parole di Piero Calamandrei, quasi settanta anni fa.
L’atteggiamento di certa giurisprudenza, quindi, di volersi “sostituire al legislatore” attraverso “sentenze interpretative” – che tentano di colmare presunti vuoti normativi -, non è propriamente consono ai dettami costituzionali, soprattutto quando si “omette” di rimettere l’interpretazione della legge all’intervento della Corte Costituzionale.
E così, l’assenza della politica, ossia il non fare per non scontentare, ha portato anche alla “degenerazione economica” del sistema Paese. Abbandonare la strada della crescita economica per sostituirla con debito pubblico e tasse.
Oggi, l’impalcatura dello “Stato di diritto” appare fortemente incrinata.
La politica e la magistratura hanno la responsabilità di riportare l’ago della bilancia al centro.
Lo si deve anche per assicurare la stabilità delle funzioni costituzionali, essenziali per la sopravvivenza dello “Stato di diritto”.
Il patriottismo costituzionale della Buona Destra
di Nicola Iuvinale
Il “Patriottismo Costituzionale” non è di proprietà della sinistra
Nel 1988, studente delle scuole superiori, venne distribuito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri un opuscolo che conteneva la nostra Costituzione, a ricordo dei quarant’anni dalla sua entrata in vigore.
Mi ha accompagnato durante gli studi di Giurisprudenza e lo conservo ancora oggi.
Nei miei viaggi ai confini dell’Italia del nord-est ho visitato vari cimiteri della prima guerra e ho sempre pensato, a ricordo, che c’è stata un’intera generazione di giovani italiani e non, che hanno dato la vita per darci la libertà di cui oggi godiamo.
Poi, è seguita la “seconda grande guerra civile europea”.
Vorrei simbolicamente consegnare quello scritto ai miei figli, ma volgendo lo sguardo agli ultimi anni della politica italiana me ne vergogno.
Perché?
Come già ho avuto modo di dire, “lo scadimento politico unito alla raminga solitudine autoassolutoria partitica espressa negli ultimi trent’anni, ha portato alla totale degenerazione del “sistema” paese facendogli accumulare un debito pubblico divenuto, ormai, insostenibile, costruito sul ricorso all’assistenzialismo di Stato che ha surrogato la crescita economica. Questa è la tipica manifestazione del populismo: l’assistenzialismo ai gruppi di pressione che muovono le marionette della politica dalla sinistra alla destra”.
Tutto ciò ha generato quel moderno nichilismo e oscurantismo di destra e di sinistra che viviamo in questi tempi bui.
E di ciò, a pagare il prezzo più caro sono i nostri figli e, poi i loro, perché vivono senza una speranza di lavoro, con studi inadeguati, con scarsa possibilità di raggiungere quella realizzazione sociale, economica, che dovrebbe, invece, vederli già protagonisti nello scrivere il loro futuro.
Il medio evo fu il tempo de secoli bui.
Oggi, mi sembra di rivedere quei trascorsi.
Si, bui politicamente, socialmente, moralmente perché, oltre alla mancata soluzione degli atavici problemi economici, non si è scritto un “patto generazionale”, non c’è stata una visione politica rivolta al futuro dei giovani e dell’Italia, ma solo espressione di “individualismo opportunista” tipico della “visione monoculare del presente”.
Gli “ideali del comunismo e della sinistra italiana in genere” che portano all’annientamento dell’uomo, all’omologazione verso il basso, alla decrescita infelice, alla tassazione finalizzata all’assistenzialismo, anziché alla spesa buona e produttiva, sono alla base della loro azione politica.
Eppure, la sinistra si è sempre appropriata “ingiustamente” della cultura, della difesa dei diritti sociali, dell’uomo, delle libertà, dei diritti dei giovani, del cosiddetto “Patriottismo costituzionale” ritenendolo roba loro.
Per “Patriottismo costituzionale” intendo il rispetto non solo della “carta”, ma il perseguimento di quei valori che ne stanno a base.
Non è di proprietà della sinistra non solo perché quei valori appartengono a tutti, ma sono a fondamento della “nostra Costituzione”; intendo “nostra” perché, come diremo, contiene valori millenari, della nostra storia, dei nostri sacrifici, del nostro patrimonio culturale, espressione di quei diritti e doveri scritti sulla “carta”.
Si, proprio quella Costituzione dimenticata sia dalla sinistra, oggi dilaniata da perenni conflitti interni e priva di identità, che da quella brutta destra sovranista, antieuropeista, divisiva e antisociale che, invece, li contraddice.
Qui, risiede il concetto della mancata “osservanza” della Costituzione che accomuna la politica italiana di destra e di sinistra.
Il “Patriottismo costituzionale”, allora, in cosa dobbiamo concretamente intenderlo.
Mi piace ricordare le parole, il pensiero del maestro e giurista Calamandrei: “La nostra costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi!” a voi giovani.
C’è una parte della nostra costituzione che, ancora oggi, è una polemica contro il presente, contro la società presente; un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani.
Quindi, la si può intendere come una “polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente. Però, vedete, la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico”.
Si, l’indifferentismo politico oggi è anche rappresentato da quel moderno nichilismo e oscurantismo che caratterizza l’azione politica dagli ultimi trenta anni.
L’indecisionismo.
E’, quindi, una delle più grandi offese che si fanno alla Costituzione e ai cittadini perché non si persegue “il bene comune”.
Però la libertà è come l’aria, diceva il Giurista: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare.
E oggi l’aria manca; manca a tanti, ai giovani.
La Costituzione non è “carta” essa è viva, è il diritto vivente perché contiene “l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti. E’ la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità di uomo”.
Bisogna essere padroni di noi, del nostro paese, della nostra patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese.
Ai valori della Costituzione va ridato in nostro spirito, “la gioventù, farla vivere, sentirla come cosa nostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto – questa è una delle gioie della vita – rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più, che siamo parte di un tutto, nei limiti dell’Italia e nel mondo”.
Lo spirito che deve animare la politica, quella con la “P” maiuscola.
E nella Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia millenaria, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie.
I grandi ideali della Patria italiana in mezzo alle alte Patrie (Mazzini), l’eguaglianza delle confessioni religiose (Cavour), l’ordinamento delle forze armate informato allo spirito democratico della Repubblica (l’esercito di popolo di Garibaldi), il ripudio della pena di morte (Beccaria) e tutto il sangue e il dolore versato dagli Italiani.
Il “Patriottismo Costituzionale” è un patrimonio di tutti che, va alimentato e messo a fondamento della nuova azione politica.
Tutto questo lo si ritrova oggi nel pensiero di Filippo Rossi espresso nel suo libro “Dalla parte di Jekyll. Manifesto per una buona destra” Marsilio 2019.
La visione di una “destra nuova”, moderata, liberale, legata ai valori costituzionali, fortemente europeista.
Una destra che esprime una politica rivolta anche al futuro, ai giovani, all’abbandono della spesa improduttiva e a vantaggio di quella “buona”; una visione anche fortemente culturale e rivolta alla riaffermazione del “bello” nella modernità e nel divenire.
Un nuovo “rinascimento” della società attraverso l’affermazione e l’attuazione anche dei valori Costituzionali.
Una nuova destra, buona, lontana da quella attuale.
Come scrive Carlo Marsonet nella sua recensione “La destra che sembra emergere dalla penna di Rossi è conservatrice e liberale a un tempo (sebbene qualche espressione sembri più riconducibile al pensiero liberal, lontano dunque dalla commistione tra liberalismo classico e conservatorismo). Essa non vede le tradizioni come monoliti a cui aggrapparsi e da cui non ci si può in alcun modo muovere, bensì come bagagli culturali e identitari che «assicurano una continuità morale, proteggendo gli individui dalla solitudine e la società dall’anarchia» (sono parole dello stesso Aron). Per usare le parole di Campi nell’introduzione al volume aroniano, si tratta di «un’opzione politico-esistenziale tesa a salvaguardare, difendere e perpetuare la tradizione liberale europea e le “istituzioni” che essa ha prodotto nel corso dei secoli». Evidentemente, un’operazione di questo tipo richiede una maturità intellettuale non solo da parte di chi fa proprio tale paradigma ma, soprattutto, da parte di chi, da posizione avversa, considera la destra aprioristicamente lo schieramento politico moralmente inferiore, e dunque abietto, oppure, rinchiuso in steccati ideologici soffocanti, come una posizione ideologica ineluttabilmente fascista”.
In questo pensiero si ritrova la storia che ha scritto la nostra Costituzione.
La Buona Destra è aperta a tutti quelli che credono nella Costituzione, nei suoi valori, nel futuro dei giovani e dell’Italia proiettata verso la riaffermazione del suo importante ruolo europeo.
Perché la Buona Destra: serve una moderna metafisica della politica
di Nicola Iuvinale
Il bene comune è il fine cui tende la società ed il “reggitore” ha il dovere di perseguirlo.
La deviazione della forma di governo nasce dal perseguimento di interessi particolaristici da parte dei governanti.
Qui si riassume il più evoluto pensiero Aristotelico.
A distanza di millenni, definito l’assetto democratico dello Stato, potremmo sicuramente aggiungere che “la deviazione del fine politico” nasce dal perseguimento di interessi personali da parte dei partiti.
Perché?
Cosa ci hanno insegnato millenni di storia?
In una moderna società complessa, policentrica, pluralistica, multirazziale e globalizzata come la nostra, ci si chiede: a chi si dovrebbe delegare la decisione sui valori dominanti?
Alla Chiesa, alla massoneria, a Confindustria, ai sindacati, oppure ad altri?
Tutti i promotori di soluzioni diverse da quella democratica non sono riusciti, storicamente, a possedere, tutta intera, la verità.
Ma, come affermato da Giorgio Galli nella “Storia dei partiti politici europei da 1649 a oggi” – scritto nel 1990 alla fine della prima Repubblica determinata da tangentopoli – vi è l’atavico problema della reale esistenza di una democrazia e di una “buona politica”.
Si osserva, ancora oggi, a distanza di trent’anni, che di vera e propria democrazia non si può parlare, giacché, in realtà, nel sistema occidentale a dirigere la politica sono élites e classi dirigenti limitate e ben determinate, formate dai partiti, che detengono il potere con un consenso più o meno consistente alle spalle.
Il cittadino può pacificamente sostituirle servendosi di libere elezioni, ma non può far altro che scegliere fra questa cerchia chiusa quale sarà quella che la dirigerà.
In quest’ottica, il singolo ha ben poco peso, specie se non è parte integrante di qualche forte gruppo di pressione; inoltre i partiti sviluppano una organizzazione burocratica che tende ad eternare un tipo di controllo oligarchico sulle istituzioni e sui canali di informazione e del potere (cit. Marco Rossi).
Anche i “movimenti denominatisi tali”, una volta conquistato un peso sociale e una porzione significativa di potere, hanno poi finito per presentare le medesime caratteristiche elitistiche e di apparato contro le quali erano sorte.
E’ la storia moderna che ce lo conferma. Da ultimo, il caso del Movimento 5 Stelle.
Ciò detto, allora, posto che altra forma di “governo o direzione” non esiste perché questa è la forma di democrazia che la storia ci ha consegnato, dobbiamo capire il perché la politica “elitaria”, negli ultimi trent’anni, non è riuscita neppure a perseguire il “bene comune” sociale.
Quel bene sociale che trova fondamento nel diritto positivo, nello stato di diritto, nella Costituzione che racchiude i valori da perseguire nella comunità democratica.
In parte dipende dall’incapacità della classe dirigente dei partiti, dall’altra nella reiterata volontà di non decidere, di non prendere quelle decisioni che, ineluttabilmente, vanno invece velocemente prese in un mondo globalizzato e iper-accelerato, per rendere il Paese all’altezza delle sfide che lo attendono.
Tutto questo immobilismo politico è dovuto essenzialmente per perseguire interessi personalistici ed ottenere un facile consenso elettorale determinato da vuoti proclami che cavalcano l’onda del moderno populismo.
In politica “l’omessa decisione” conviene per non scontentare nessuno; ma produce effetti contrari e nocivi sulla realtà sociale.
E’ il populismo allo stato puro, dannoso e improduttivo.
Sparito il “centro” dalla scena teatrale, si va dalla “sinistra”, ormai da anni disancorata da punti di riferimento ormai estinti (se non in famigerate dittature comuniste ancora esistenti), all’attuale “destra” populista, sovranista, antieuropeista e priva di valori per “il bene comune” espressa dalla Meloni e da Salvini.
Una destra che non può avere futuro, se non quello di portare avanti la comoda demagogia oggi incarnata nel facile trasformismo per puro interesse di sopravvivenza e di conservazione del potere acquisito.
Un trasformismo “varius multiplex multiformis”; a geometria variabile si direbbe in termini ingegneristici.
Allo stato attuale c’è poco futuro avanti a noi.
Questa destra, quella della Lega e di Fratelli d’Italia, non può avere futuro, non può perseguire quel “bene comune” perché totalmente disancorata anche dalla immanente visione europeista che si è dato il blocco dei paesi UE.
La Lega, al di là del trasformismo d’interesse rappresentato negli ultimi giorni per entrare nel Governo Draghi, non ha modificato il suo manifesto politico né quello presentato da Matteo Salvini per la sua elezione a Segretario del partito.
Lo scadimento politico, unito alla raminga solitudine autoassolutoria partitica espressa negli ultimi trent’anni, ha portato alla totale degenerazione del “sistema” paese facendogli accumulare un debito pubblico divenuto ormai insostenibile e costruito sul ricorso all’assistenzialismo di Stato che ha surrogato la crescita economica.
Ma questa è la tipica manifestazione del populismo: l’assistenzialismo ai gruppi di pressione che muovono le marionette della politica.
Gli ultimi accadimenti politici, crisi di Governo e il ricorso al bravo tecnocrate Mario Draghi dimostrano, absit iniuria verbis, il fallimento dell’intero schieramento partitico-istituzionale italico, della loro classe politica stantia, a-democratica e populista.
Ma Mario Draghi, prestato com’è alla politica, non ci guiderà per molto tempo.
Finita l’attuale fase emergenziale, con questi partiti, seppur eventualmente rimescolati in qualche informe contenitore in vista delle future elezioni politiche, si tornerà ancora al populismo, all’indecisionismo del “laissez faire” della dannosa élite politica?
Si, perché il tutto pare essersi omologato verso il “nulla”.
E’ necessario, quindi, un cambio di rotta.
I partiti sono però indispensabili in democrazia; ciò che conta è, allora, la buona politica. Quella che, per tornare a bomba, guardi al “bene comune” che parta dalla Costituzione dimenticata, dall’affermazione dei suoi valori, ancora non attuati nella realtà sociale.
La Costituzione e suoi valori patriottici, quei principi che ne stanno a base e che costituiscono espressione millenaria della storia italica vanno alimentati ogni giorno.
La realizzazione dell’uomo attraverso il suo sviluppo culturale, lavorativo, economico e sociale sono le basi della nostra comunità.
Quella società che ci ha visti primeggiare nell’arte, nella cultura, nell’economia, nel diritto; siamo stati i fondatori della moderna Unione Europea che in tanti disprezzano.
In tutto questo, in quest’ottica, va riaffermata anche la liquidazione della bellezza lato sensu, perché è uno dei fondamenti essenziali su cui è costruita anche la modernità e il futuro.
Vanno combattuti il nichilismo e l’oscurantismo voluto dall’a-democrazia partitica elitaria italica che, omettendo ogni decisione (se non quella intesa a soddisfare i loro vari gruppi di pressione) non ha guardato al “bene comune” e ha determinato, in ogni senso, l’omologazione al “nulla”.
Questa forma di nichilismo domina il nostro tempo attraverso meccanismi particolaristici, la disgregazione e la frammentazione completa dei saperi “neutri e senza fondamento” (cit. Stefano Zecchi “La bellezza” 1990).
La crisi politica di questi giorni deve essere considerata una possente e decisiva spinta verso la modernizzazione e l’abbattimento del “nulla”.
Quel “nulla”, l’effimero, l’assenza di fondamento, l’affabulazione retorica fine a se stessa della politica, che ha portato gran parte della società a rinunciare a qualsiasi capacità di incidere sulle – e dare senso alle – dinamiche sociali, legittimandosi unicamente attraverso l’aggregazione passiva al potere politico.
In un’epoca priva di significati esistenziali, per il “bene comune” va anche inseguita la bellezza in una ricostruita visione organica del mondo, dell’Italia, del suo divenire sociale, del ruolo primario e altamente nobile della politica.
C’é, allora, una visione, un giacimento di idee straordinarie ed inesauribili alle quali ricorrere sulla strada della ricostruzione?
Si. C’è una visione.
In questa si colloca la “buona politica” immaginata da Filippo Rossi nel suo libro “Dalla parte di Jekyll. Manifesto per una buona destra”; tra i fondatori e Segretario Politico del partito “Buona Destra”.
Rossi nel libro “In un j’accuse tanto contro xenofobi e populisti quanto contro la sinistra anemica dei nostri tempi, propone un viaggio alla riscoperta di una politica che accetti la sfida del nuovo e faccia del cambiamento uno stile di vita, lanciando allo stesso tempo un appello a tutti coloro che si sentono viandanti culturali, migranti politici e che rifiutano la retorica delle radici e la tirannia degli album di famiglia”.
Una nuova “destra storica”, lontana dal facile populismo, dal vuoto, dal trasformismo di quella italica che ha scritto le brutte pagine dell’ultima storia.
Una visione del bello e della “bella Italia” sulla quale investire per raggiungere quel “bene ultimo comune” che la politica, quella con la “P” maiuscola, pur con tutti i suoi difetti innati, deve necessariamente perseguire.
Potremmo allora correttamente parlare di una “ Moderna metafisica della politica”, necessaria nell’attuale fase storica dell’affermazione del nichilismo e dell’oscurantismo politico voluto anche dalla destra ormai vecchia.
“In greco ho pensato, in greco ho vissuto” direbbe la nuova “Buona Destra”, per rinnovare e distinguersi dall’altra.
Una visione, non utopia.
Anche Icaro ai suoi tempi era un utopista.
La storia, poi, ha dimostrato il contrario.
Seconda riflessione sulla crisi e sulla nascita del Governo di Mario Draghi
di Nicola Bono
Si continuano ad inseguire commenti sul Governo Draghi, che oscillano dalla fede più assoluta, alla critica più feroce, senza percepire ciò che è realmente accaduto, tenendo anche conto del contesto in cui si sta operando. Il tutto reso ancora più complicato dalla nostalgia per la scomparsa dalla scena politica di Conte. La giubilazione di Conte è stata determinata per varie ragioni di inadeguatezza nella gestione del governo, ma soprattutto per due errori fondamentali che ha commesso: il primo quello di essersi intestardito nel volere costituire un partito tutto suo, senza sostanziali ragioni politiche, ma solo per mantenere la poltrona di capo del governo, disposto ad arruolare chiunque, senza alcun filtro né etico, né tanto meno ideale; il secondo per i ritardi esagerati nella elaborazione della strategia di utilizzo dei 209 miliardi del PNRR, per i quali aveva già dimostrato di non avere alcuna idea di come utilizzarli a favore del rilancio economico e occupazionale, a parte generiche e superficiali stesure senza dettagli operativi, esponendosi così al dubbio di una destinazione in linea con la peggiore tradizione politica nazionale, di un utilizzo finalizzato più all’acquisizione di consensi, che per la ripresa del sistema economico e occupazionale. Due errori che hanno messo in allarme da una parte i partiti di maggioranza, PD e M5S, che avrebbero subito fortissime emorragie di consenso a favore di un soggetto la cui leadership era principalmente fondata sull’eccesso di esposizione mediatica, (se potessimo avere Filippo in tutte le tv per due-tre ore al giorno per due mesi, la Buona destra supererebbe nei sondaggi la Lega), ma soprattutto, dall’altra parte, l’Unione Europea, preoccupata dell’ennesimo possibile flop dell’Italia nell’utilizzo delle risorse concesse a scopo di rilancio dell’economia e avvio delle riforme dell’imballato sistema burocratico, giudiziario e fiscale italiano. Anche la narrazione sul congedo di Conte è stata pacchianamente favoleggiata, con una sottolineatura degli applausi al Presidente uscente, che sono notoriamente un classico a palazzo Chigi in ogni congedo del Premier di turno, perfino anche in occasione dell’uscita di Renzi, anche se le lacrime di Casalino hanno offerto uno spaccato, questo sì, senza precedenti. Ma l’aspetto politico della vicenda è valutare a che serve continuare a pensare nostalgicamente al governo di Conte? C’è davvero qualcuno nella Buona Destra che può ritenere che un Conte ter, magari con Tabacci, Rotondi, Ciampolillo e la badante di Berlusconi avrebbe gestito serenamente le risorse del PNRR? O piuttosto non ci sarebbe stato l’ennesimo e questa volta ancora più spietato “assalto alla diligenza”, che avrebbe costituito l’inizio della fine per il nostro Paese, avviato senza rete verso uno scenario di default? Oggi c’è un governo, con un leader che ha competenza e reputazione di livello internazionale. Ma questo non basta. Occorre vederlo alla prova e verificare giorno dopo giorno la coerenza tra le sue scelte e la reale difesa del “bene comune del Paese”. Ingenerose e poco riflessive appaiono però le valutazioni sui primi passi di Draghi, quasi a volerne sin dall’inizio metterne in discussione la credibilità e correttezza delle scelte che, a mio parere, fino ad ora appaiono coerenti con le aspettative. In primo luogo le critiche maggiori hanno sottolineato l’oggettiva mancanza di “Alto Profilo” di gran parte dei ministri politici, in ciò ignorando che la nostra rimane una Repubblica Parlamentare che impone a qualsiasi governo per operare, la necessità di disporre di una maggioranza che ne voti i provvedimenti in Parlamento. Se si parte da questo dato fondamentale, è più che evidente che Draghi ha messo in piedi il governo di “Alto Profilo” che Mattarella aveva richiesto, sicuramente per gli otto tecnici a cui ha affidato tutti i Ministeri chiave, sia ai fini della gestione delle risorse Europee, sia per le strategie da adottare in tema di riforme, ed ha nominato ministri, di ministeri meno incisivi sulla missione principe del PNRR, quei politici che per storia personale, ed influenza nei rispettivi partiti, più di altri esprimono coerenza con i valori europei e possibilità di garantire il leale sostegno del programma di governo nelle votazioni di Camera e Senato. Bisogna riconoscere che Draghi è riuscito nel miracolo di indurre la stragrande maggioranza dei 5 stelle ad appoggiare il governo, lo stesso vale per i recalcitranti LEU, e a mettere insieme IV, FI, PD ed addirittura la Lega, fieramente sovranista ed antieuropeista, lasciando all’opposizione solo FdI. In tal senso le critiche di molti amici circa l’adesione al governo della Lega, non hanno motivo di essere. In primo luogo perché questa scelta non dipende da noi, ed in politica le analisi si fanno tenendo conto che le speranze non sono fattori delle equazioni. Ma soprattutto perché tale adesione non ci danneggia affatto. Non solo perché la Lega dovrebbe pagare un alto prezzo politico alla sua istantanea metamorfosi, per come si evince dalle chat dei sovranisti delusi e traditi, ma anche perché a che titolo possiamo criticare tale scelta, a parte l’evidente incoerenza, di un partito che ha deciso di venire nelle medesime posizioni in cui noi eravamo naturalmente già collocati? Non è forse il proselitismo il primo dovere di un partito? Non è forse il diritto-dovere di convincere i cittadini tutti, avversari compresi, della bontà delle proprie idee, che ogni partito ha come missione principale? E quindi con quale coerenza potremmo mai criticare chi fa le scelte giuste? E poi questo in effetti a noi cosa toglie? La possibilità di attaccare la Lega sulle errate impostazioni sovraniste? Ma noi non siamo solo anti sovranisti. Siamo molto di più e lo dobbiamo dimostrare con i contenuti che devono, anche grazie a noi, tornare con forza nel dibattito politico, ed essere la base del confronto tra i partiti e del convincimento degli elettori, come sosteneva la Signora Thacher. Questa è la vera grande novità della Buona Destra rispetto agli altri partiti, ed anche a Draghi. Dobbiamo lavorare sui contenuti, confrontarci con le scelte del nuovo governo senza complessi né appiattimenti, guardando alla sostanza dei provvedimenti, ed ai comportamenti dei partiti della maggioranza e di quello rimasto all’opposizione. Se conosciamo i nostri antagonisti, sappiamo che i partiti saranno sempre facilmente criticabili e, quindi, non dobbiamo nutrire alcuna preoccupazione sulla loro collocazione al governo o all’opposizione, che può essere imbarazzante più per loro che per noi e dobbiamo esercitare ogni doverosa analisi sugli atti del governo, sul modo con cui saranno gestite le risorse concesse dall’UE e la loro coerenza sul raggiungimento dei risultati programmati, ricordando sempre che il lupo perde il pelo, ma non il vizio. In tal senso rimangono le praterie dei comportamenti criticabili, derivanti dalla tendenza al “partito unico della spesa” che affligge tutti i partiti dell’attuale scenario politico di governo ed di opposizione. E soprattutto dobbiamo puntare sull’argomento principe, la vera fede per una Europa che non può restare così come è strutturata l’attuale Unione Europea, ma deve assolutamente puntare, ed in tempi brevi, alla Federazione degli Stati Uniti d’Europa. Il che, come è evidente, è un tema che provocherà un’altra profonda contraddizione dell’attuale maggioranza, dove tutti sono diventati per opportunismo, anche repentinamente, europeisti della domenica, mentre la vera difesa degli interessi dei popoli europei impone scelte molto più radicali, che non facilmente potranno essere da tutti condivise, e che invece appaiono ineludibili. Coraggio quindi e fiducia su un futuro in cui la validità dei nostri valori, insieme alle nostre idee e proposte, farà la differenza nelle opzioni politiche che potranno essere prese in considerazione dai cittadini, specie se Draghi riuscirà nell’intento, da tutti noi fortemente sperato, di salvare l’Italia e rilanciarla nel contesto dei Paesi più avanzati e innovativi del pianeta, invertendo la tendenza al declino degli ultimi quarant’anni.
Cassa Depositi e Prestiti come antidoto alla pandemia
di Gabriele e Nicola Iuvinale
La pandemia sta colpendo l’economia italiana in modo drammatico. Le limitazioni per il contenimento dell’epidemia hanno colpito per lo più il settore dei servizi, in particolare i settori produttivi di ristorazione, bar, spettacoli, turismo e sport, nonché tutte quelle attività che prevedono un forte contatto sociale. I settori a maggiore intensità di contatti sociali continueranno in futuro ad essere influenzati negativamente dalla pandemia ed i consumi delle famiglie resteranno contenuti a causa delle nuove restrizioni. Le stringenti misure sanitarie di questi giorni richiederanno, inoltre, di essere accompagnate da ulteriori interventi di sostegno e di indennizzo. Ma la coperta è corta, anzi cortissima. L’Italia ha già fatto uso di ben sei scostamenti di bilancio, attualmente possibili grazie al cosiddetto general escape clause del PSC (patto di stabilità e crescita) disposto dalla Commissione europea il 20 marzo scorso. La decisione consente agli Stati di deviare temporaneamente dal percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine (OMT), a condizione che non venga compromessa la sostenibilità fiscale nel medio periodo (non sospende, pertanto, l’applicazione del PSC, né le procedure del Semestre europeo in materia di sorveglianza fiscale). Nella recente proposta di Raccomandazione del Consiglio, la Commissione ha ribadito l’opportunità di mantenere nel 2021 un’intonazione espansiva delle politiche di bilancio.
Per ragioni note, l’Italia non sarà in grado di riprendersi da sola. Neppure le risorse del Recovery Plan saranno sufficienti a sorreggere un’eventuale ripresa. Volendo fare i conti della serva, le risorse europee valgono circa 10 punti di pil in 5 anni. Tuttavia, circa cinque sono stati già “bruciati” in un solo anno. I dati macroeconomici spaventano ormai tutti. Il rapporto debito pubblico/pil è ormai tra il 160/170%.. L’indebitamento netto della p.a. è salito a circa 156 miliardi, con un’incidenza rispetto al PIL pari a circa l’8,8%. Le riforme strutturali che dovranno accompagnare il PNRR del Governo Draghi, non avranno effetti immediati. Insomma, un quadro a dir poco preoccupante.
Dalla fine di dicembre è iniziata la somministrazione dei vaccini, che richiederà, tuttavia, ancora del tempo per essere completata. Ma anche qui i problemi sono noti. La vaccinazione, ora, va molto a rilento per la carenza di dosi. Ritardo, dovuto prevalentemente ad una deficienza nella produzione.
L’obiettivo prioritario, allora, è incrementare su vasta scala le vaccinazioni. Ciò consentirà di ottenere al più presto l’immunità di gregge e mitigare al massimo i danni da lockdown.
Cosa fare, allora?
L’idea potrebbe essere quella di produrre vaccini, già autorizzati dalle Autorità regolatorie, direttamente in Italia attraverso la riconversione di strutture esistenti. Abbiamo gli strumenti per farlo. Strutture e capitali a disposizione. E’ Cassa depositi e Prestiti spa. La normativa esistente (Statuto CDP o articolo 27 del Decreto rilancio), infatti, gli consentirebbe di intervenire sul mercato anche attraverso l’acquisizione di partecipazioni in società private che potrebbero produrre su licenza delle Big Pharma. In tal caso, CDP potrebbe agire sia come market unit, cioè a condizioni di mercato, sia nel perimetro del Temporary Framework, vale a dire secondo il regime derogatorio temporaneo degli aiuti di stato concessi dalla Commissione Europa.
Ovviamente, l’intervento di CDP dovrà essere transitorio e remunerativo per lo Stato. L’idea, quindi, non è quella di creare un vaccino “statale”, ma favorirne la produzione sul territorio italiano, in modo da soddisfare la domanda di altri Paesi UE e di quelli più poveri. E qui l’intervento avrebbe anche una importante valenza geopolitica per l’Italia.
Il governo francese, nei giorni scorsi, si è mosso mettendo in contatto Pfizer con Sanofi, colosso transalpino che sta per acquistare la licenza del vaccino americano per produrlo in casa propria.
Questa potrebbe essere la soluzione più veloce, almeno per il breve periodo, finché non avremo il vaccino di Reithera, la società il cui farmaco è attualmente sotto sperimentazione dello Spallanzani e con la quale il Governo italiano, attraverso Invitalia, ha sottoscritto un accordo. Vaccino, però, che non avremo presto e del quale bisognerà anche valutare il grado di copertura e l’esito della sperimentazione.
La scelta di produrre un vaccino in casa propria consentirebbe anche di disporre di dosi per eventuali vaccinazioni Covid da replicare, periodicamente, in futuro in base alla durata della copertura vaccinale, eventualmente anche adattabili alle varianti del virus.
Il progetto, peraltro, è anche costituzionalmente orientato alla tutela della salute e dell’economia.
Inootre, è pienamente compatibile sia con la normativa interna che con quella sovranazionale.
Proprio la Strategia dell’UE per i vaccini contro la COVID-19 – presentata dalla Commissione europea il 17 giugno 2020 al fine di accelerare lo sviluppo, la produzione e la diffusione di vaccini efficaci e sicuri contro la COVID-19 – identifica, infatti, due linee di intervento fondamentali: garantire la produzione di vaccini nell’UE (con forniture agli Stati membri grazie ad accordi preliminari di acquisto con i produttori di vaccini) e tramite lo strumento per il sostegno di emergenza. E quest’ultimo consentirebbe il finanziamento di un’azione statale per la produzione e la distribuzione di prodotti sanitari, quindi anche dei vaccini.
IMU, ovvero Interpretazione Mistificata Unilaterale
di Nicola e Gabriele Iuvinale
Una recente decisione della Cassazione spalanca le porte ad una valanga di cartelle ingiuste a carico di famiglie già pesantemente colpite dalla crisi economica
Tutti conosciamo l’IMU, l’imposta Municipale Propria (ex ICI).
Le sue caratteristiche principali sono:
L’IMU, introdotta nel 2001 dal D.L. 201/2011, attualmente è disciplinata dai commi 738 e segg. della Legge 27 dicembre 2019, n. 160.
In particolare, il vecchio art. 13 comma 2, del DL 201/2011 precisava che “Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unita’ immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.”
Si stabiliva, inoltre, che “Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.
La stessa identica definizione viene oggi riportata nel comma 741 lett. b) della L.169/2019.
In pratica, la famiglia non paga l’IMU sull’immobile in proprietà se vi risiedono e dimorano, abitualmente, il proprietario ed il suo nucleo familiare.
Se i coniugi possiedono due case nello stesso Comune ed ognuno risiede e dimora stabilmente nella propria, solo un immobile potrà beneficiare dell’esenzione.
Per interpretazione costante del Ministro delle Finanze, se i coniugi possiedono gli immobili in Comuni differenti ed ognuno risiede e dimora stabilmente nel proprio, entrambi gli immobili possono beneficiare dell’esenzione IMU.
E ciò, anche per ragioni umane, legate, ad esempio, alla necessità di “dividere” la famiglia per esigenze lavorative.
Tale orientamento è stato sempre sostenuto dal MEF sin dal 2012, sul presupposto della mancanza di disposizione normativa contraria, della specialità della legge IMU e del suo divieto di applicazione analogica, come stabilito anche dalle preleggi del codice civile.
Infatti, nella Circolare 3/DF del 18 maggio 2012 si precisa che
Questa interpretazione, è anche confermata dal MEF nelle FAQ Mini IMU e Maggiorazione Tares risposta a quesiti del 20 gennaio 2014.
Tali osservazioni sono state sempre recepite nella recente giurisprudenza di merito, tra le quali basta citare la C.T.P. di Bologna, sez. 1, n. 441 del 22 marzo 2017 che conferma l’interpretazione del MEF e propone, addirittura, una interpretazione costituzionalmente orientata:
Con una recente ordinanza della Cassazione del 24.9.2020 n. 20130, però, si ribalta completamente l’interpretazione della norma con un provvedimento che ha, a dir poco, dell’incredibile!
La Cassazione, infatti, contrariamente al MEF, statuisce che:
In parole povere, la Cassazione ha stabilito che se i coniugi possiedono gli immobili in Comuni differenti ed ognuno di essi risiede e dimora stabilmente nel proprio, nessuno dei due immobili può beneficiare dell’esenzione IMU sul presupposto che il beneficio è utilizzabile solo se il possessore, e il suo nucleo familiare, dimorino stabilmente e risiedano anche anagraficamente nella stessa casa.
Il tutto, non solo in contrasto con l’interpretazione costante del MEF (sopra richiamata), ma addirittura anche con i principi generali dell’ordinamento giuridico.
Infatti, non vi è una disposizione normativa che preveda espressamente quanto stabilito dalla Cassazione essendo, invero, previsto solo se i coniugi risiedono nello stesso comune ex art. 13 comma 2, del DL 201/2011 e comma 741 lett. b) della L.169/2019, limitato, però, ad un solo immobile.
La Cassazione, in pratica, sulla base di una interpretazione parziale del comma 2 del DL 201/2011 ed omettendo di riportare e commentare la restante parte della disposizione (che invero prevede una fattispecie differente), fornisce una esegesi distorta della norma, finendo per introdurre, forzosamente, nell’ordinamento giuridico una imposizione tributaria non prevista espressamente dalla legge.
I Giudici, quindi, “si sostituiscono d fatto al legislatore” e al MEF.
Si crea, in tal modo, son solo un contrasto tra i poteri dello Stato, ma addirittura si contravvenire la Costituzione perché in discordanza con il principio di legalità stabilito dall’art. 23 Cost. secondo cui “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base a una legge”.
In violazione, dunque, sia della legalità formale – per mancanza di una specifica disposizione di legge (cosiddetta costituzionalità formale) – ma anche sostanziale – perché il contenuto parrebbe non conforme ai principi costituzionali (cosiddetta costituzionalità sostanziale) cui agli artt. 29 e 53 della Costituzione.
Infatti, l’art. 29 stabilisce che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare” e l’art. 53 dispone che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”.
Inoltre, i Giudici, introducendo forzosamente una imposizione tributaria non prevista espressamente dalla legge e non plasmabile nell’ordinamento per effetto interpretativo, finiscono anche per porsi in contrasto con l’art. 14 delle preleggi. Principio riportato dalla C.T.P. di Bologna citata, secondo cui
Una interpretazione, questa, difficile da comprendere ed accettare ed alla quale bisognerebbe subito porre rimedio sul piano normativo per evitare una “pandemia” di accertamenti ingiusti – che retroagirebbero di cinque anni per entrambi i coniugi – contrari anche al principio di buona fede e di affidamento dei contribuenti.
Questa situazione finirà per mettere in enorme difficoltà tante famiglie oggi costrette ad entrate ridotte e difficoltà lavorative per cause a loro non imputabili.
Il soggetto passivo dell’imposta, poi, avendo fatto ragionevole affidamento sulla legislazione IMU e sulle circolari ministeriali, si vedrebbe ingiustamente applicare anche sanzioni ed interessi, senza colpa.
In base alla pronuncia della Cassazione in questi giorni alcuni Comuni, in tutta Italia, stanno preavvisando i cittadini sull’invio di accertamenti tributari.
Alcune amministrazioni motivano la scelta poiché, a loro dire, potrebbero risponderne dinanzi la Corte dei Conti in caso di inerzia.
Insomma il solito scaricabarile.
Chi deve farsi subito carico della soluzione del problema?
Data la grande platea degli interessati, indubbiamente il decisore politico attraverso un legge ad hoc che ha valenza erga omnes; poi la Corte Costituzionale ad esempio con sentenza correttiva (pur non comprendendosi i motivi della mancata rimessione, in tanti anni di contenzioso, alla Corte stessa).
Infine si potrebbe anche pensare ad un interpello disapplicativo ex art. 11, comma 2, Statuto del contribuente da parte del singolo cittadino.